Roma Pride, polemiche per gli sponsor: “Aziende vicine a Israele e che sfruttano lavoratori”. E anche Arcigay contesta

  • Postato il 14 giugno 2025
  • Diritti
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Alla vigilia del Roma Pride 2025, la manifestazione LGBTQIA+ più partecipata d’Italia finisce nel mirino delle polemiche per la scelta degli sponsor. Tutto comincia due giorni fa, quando gli organizzatori iniziano a pubblicare sui canali social i loghi delle aziende partner dell’evento. Tra queste, spiccano la multinazionale del caffè Starbucks e Procter & Gamble. Nomi che per attivisti e attiviste legati alla causa palestinese risultano indigesti.

L’accusa è netta: aver accettato come sponsor aziende che, direttamente o indirettamente, finanziano o intrattengono rapporti economici con Israele, in palese contraddizione con il manifesto politico dello stesso Pride. Un documento che, nero su bianco, prende una posizione decisa: “Condanniamo con forza la strage in corso a Gaza, perpetrata dal governo israeliano, che sta provocando innumerevoli vittime innocenti tra la popolazione civile palestinese e sembra puntare all’annientamento di un popolo. Chiediamo il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi israeliani e il rispetto delle condizioni di tregua, la protezione dei diritti umani, la ripresa delle trattative di pace, basate sulla soluzione di due popoli, due Stati”.

La contestazione più rumorosa riguarda Starbucks, da mesi oggetto di un boicottaggio internazionale per la sua presunta vicinanza a Israele. Il colosso americano ha tra i principali azionisti i fondi Vanguard e BlackRock, che possiedono insieme quasi il 20% dell’azienda. Vanguard è azionista di Elbit Systems, il principale produttore israeliano di armi, mentre BlackRock ha investimenti significativi in Lockheed Martin, che produce jet da combattimento impiegati dall’esercito israeliano. Il maggiore azionista individuale è Howard Schultz, ex CEO e figura pubblica filo-israeliana, che detiene il 3% delle quote. L’attuale CEO Brian Niccol ha cercato di placare le critiche pubblicando una nota ufficiale: “Starbucks sta dalla parte dell’umanità. Condanniamo la violenza, la perdita di vite innocenti e ogni espressione di odio e di uso di armi. Nonostante le false affermazioni diffuse attraverso i social media, non abbiamo alcuna agenda politica. Non utilizziamo i nostri profitti per finanziare operazioni governative o militari in nessun luogo, e non lo abbiamo mai fatto”.

Disney è finita nel mirino per aver annunciato, una donazione da 2 milioni di dollari a favore di “soccorsi umanitari” dopo il 7 ottobre 2023 e per non aver mai condannato il massacro di Gaza. Procter & Gamble, infine, è oggetto di critiche per ingenti investimenti in Israele e per la presenza anche nei Territori occupati, con un impegno stimato in circa 2 miliardi di dollari.

Tra i primi a sollevare il caso, l’influencer Guglielmo Scilla – in arte Willwoosh – che su Instagram ha denunciato: “Sono amareggiato, perché conosco il Roma Pride e so chi ci lavora dietro. Mi aspettavo una risposta. Invece, sotto quel post pieno di commenti indignati, hanno disattivato la possibilità di commentare. È antidemocratico, è tutto ciò che va contro il Pride. Se mi indigno per Giorgia Meloni che sfrutta l’ignoranza delle persone, non posso non fare lo stesso quando questo errore viene da chi dovrebbe rappresentarmi. Comprendo l’errore – ne ho fatti duecento, ragazzi – ma non ho mai censurato l’indignazione che mi ha permesso di crescere. Questi non sono i miei valori. Ma il mio invito è comunque ad andare al Pride. Non dimentichiamoci che prima di essere delle organizzazioni o dei brand, il Pride è nato da noi. Se non ci andiamo, rischiamo di perdere due volte”.

Più netta Cathy La Torre: “Non sarò al Pride di Roma. Ha deciso di prendere soldi da Starbucks, azienda nota per aver licenziato migliaia di lavoratrici e lavoratori solo per aver denunciato condizioni disumane e atteggiamenti antisindacali. Negli USA ci sono state centinaia di sentenze contro Starbucks per violazioni dei diritti sindacali. Molti sono stati licenziati dopo aver espresso solidarietà al popolo palestinese. E il Pride di Roma che fa? Piglia i loro soldi? Se noi persone LGBTQ+ ce ne freghiamo delle altre lotte, diventiamo come quelli che ci ignorano”.

Anche Arcigay Roma ha preso posizione con durezza, parlando di “no Pride in genocide”. In un video su Instagram : “Si condanna il genocidio in Palestina e poi si raccolgono sponsor come Starbucks, il cui CEO ha finanziato con 2 miliardi la cybersicurezza di Israele; Disney, che ha donato milioni a Tel Aviv; e P&G, con attività anche nei Territori occupati. Non possono più esistere manifestazioni che accettino il genocidio in Palestina”. Le critiche dell’associazione romana non si fermano però al piano geopolitico: “Sul poster si legge ‘i nostri corpi non sono carne per la propaganda’. Forse perché sono carne per il mercato, venduti a pacchetti sulla pagina ‘diventa sponsor’. E per partecipare alla festa ufficiale serve un biglietto. Con la madrina eterocis Rosa Chemical e, se va bene, pure Francesca Pascale”. Nonostante ciò, Arcigay Roma parteciperà al corteo sul carro Lazio Pride “con postura sempre più critica”.

Anche sui social la protesta è esplosa tra la comunità LGBTQIA+: tra chi annuncia il boicottaggio, chi rimane deluso, chi sostiene il Priot Pride, manifestazione alternativa e antagonista, organizzata da collettivi che criticano l’edizione ufficiale perché “asservita al capitale”, e chi semplicemente non si sente più rappresentato.

Alla conferenza stampa di presentazione, Mario Colamarino, presidente del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli e portavoce del Roma Pride, ha risposto alle polemiche: “Sul tema Palestina abbiamo chiesto chiarimenti agli sponsor: molte delle voci in circolazione nascono da disinformazione. Il Pride ha costi enormi, viviamo grazie agli sponsor e lavoriamo con queste aziende tutto l’anno. Starbucks sostiene anche i Pride di Milano, Napoli e in tanti altri Paesi. Trovo surreale la polemica, è scoppiata con noi perché siamo i primi, mi farei qualche domanda”. Poi l’attacco agli influencer: “Mi ha stupito che si siano inseriti influencer che fino a poco tempo fa lavoravano per aziende filoisraeliane. C’è molta ipocrisia. Prima di lanciare sassi, bisognerebbe ricordare che anche loro vivono grazie a quei mondi”.

A difendere le scelte del Pride interviene anche Stefano Mastropaolo, responsabile Partnership & Sponsor: “Senza sponsor non potremmo offrire uno spazio gratuito come la Pride Croisette né una parata grande, visibile e disturbante. Per noi non sono semplici sponsor, ma partner con cui dialogare e formare. Alcune aziende hanno rafforzato le loro politiche DEI, altre le hanno tagliate e hanno deciso di non partecipare più al Pride dopo le richieste di Trump smascherando chi sono davvero. Ma è proprio lì che possiamo agire: creare luoghi di lavoro dove le persone LGBTQIA+ si sentano sicure, anche grazie alla formazione che parte dal Pride e si riflette all’esterno.”

Colamarino ha infine chiarito: “Quello che accade in Medio Oriente ci interroga tutti. Abbiamo preso posizione pubblicamente e quest’anno saranno presenti sia bandiere palestinesi sia la comunità ebraica queer, con la bandiera arcobaleno e la stella di David. Lo scorso anno circolava la bufala dell’ambasciata israeliana. La stella di David è un simbolo identitario ebraico, non solo israeliano. Alcuni ebrei LGBTQ+ parteciperanno per dire che non devono avere paura a scendere in piazza. Il Pride è di tutti”.

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Il Fatto Quotidiano

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