Negli ultimi anni la salute mentale è emersa come una delle principali aree di bisogno nella popolazione italiana. In un quadro di elevata necessità sono soprattutto i giovani a contribuire a un nuovo modo di pensare alla terapia. Più di ogni altra generazione chiedono che emozioni, fragilità e disagi vengano riconosciuti e affrontati senza vergogna.
È quanto emerge anche dal primo MINDex – Il Barometro del Benessere Mentale degli Italiani, report realizzato da Unobravo secondo cui il 43% dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni crede che qualcosa stia veramente cambiando nella percezione della cura della propria salute mentale, con una consapevelozza più salda di quanto la terapia non sia "l'ultima spiaggia" per chi non ha altre vie d'uscita a situazioni di alta complessità ma uno strumento quotidiano di crescita e benessere. Il 46% dei giovani la considera una risorsa utile per prendersi cura di sé, molto più che in passato.
Nonostante questa apertura generazionale, il percorso verso una salute mentale davvero accessibile e priva di pregiudizi è ancora costellato di ostacoli, soprattutto tra gli adulti. La convinzione ancora troppo radicata sta nell'idea che chiedere aiuto sia sinonimo di debolezza: secondo il report di Unobravo 8 italiani su 10 vedono il bisogno di supporto psicologico come un segno di fragilità. Molti iniziano un percorso di terapia solo quando "non ce la fanno più", come raccontano anche gli oltre 1.600 psicologi coinvolti nell'indagine. La consapevolezza emotiva, insomma, esiste ma è parziale. L'82% degli italiani dice di sapere come si sente, ma il 90% degli psicologi risponde: in realtà, pochi pazienti sanno dare un nome al proprio malessere.. INTELLIGENZA ARTIFICIALE e salute mentale. A fronte di un bisogno crescente, anche gli strumenti di supporto si stanno evolvendo. Alla diffusione della psicoterapia online, già ampiamente consolidata dopo la pandemia, si affiancano oggi soluzioni tecnologiche più recenti, che integrano l'intelligenza artificiale in diverse fasi del percorso terapeutico: dal primo contatto con il paziente all'elaborazione di questionari, dall'ascolto automatizzato tramite chatbot alla personalizzazione dei percorsi di supporto.
Si tratta di strumenti ancora in fase di diffusione, ma che iniziano a essere percepiti come parte integrante del futuro della salute mentale, almeno da una parte della popolazione. In particolare, i giovani mostrano maggiore apertura: il 52% degli intervistati tra i 18 e i 29 anni ritiene che l'IA possa migliorare l'assistenza psicologica. Una fiducia che si intreccia con l'abitudine a vivere e a comunicare in ambienti digitali, dove l'accesso immediato e la possibilità di anonimato possono rappresentare un punto di partenza.. confidenze a una macchina. Sempre più persone si rivolgono ai chatbot per parlare di sé. Non solo quindi per cercare risposte rapide sul posto migliore per andare in vacanza o su dati elaborati a lavoro, ma spesso anche per interrogare l'intelligenza artificiale su come poter affrontare al meglio un momento delicato in famiglia, dalla separazione a una relazione tossica, da uno stato d'ansia a un rapporto complicato con il cibo.
Le confidenze sul proprio stato emotivo spesso vengono spinte dalla necessità di un confronto rapido e silenzioso, con una macchina che non potrà giudicare, soprattutto su questioni familiari e relazionali. Non è un caso che, secondo l'indagine MINDex di Unobravo, il motivo principale che spinge gli italiani a iniziare un percorso terapeutico sia proprio legato alla sfera relazionale: il 46% dichiara che le difficoltà nei rapporti personali sono l'aspetto della vita più influenzato dal proprio stato mentale. Quando le relazioni vacillano, si cerca aiuto. E oggi, tra le prime interfacce a cui ci si rivolge, c'è spesso un'intelligenza artificiale.. minaccia o occasione? Ma quanto sono preparati questi strumenti per offrire un supporto autentico e quanto invece si rischia di affidarsi a qualcosa di impreciso, impersonale, persino pericoloso? A queste domande ha risposto la Ceo della piattaforma Unobravo Danila De Stefano: «Ricordo che quando con la piattaforma abbiamo iniziato a proporre la terapia online, già in quel caso l'idea aveva suscitato molte perplessità. Oggi è finalmente considerata un'alternativa legittima e complementare alla modalità in presenza e ha reso la psicoterapia più accessibile, abbattendo numerosi ostacoli», spiega.
«Ora ci troviamo di fronte a una nuova trasformazione: il rapido ingresso dell'intelligenza artificiale nel campo della salute mentale. In Unobravo osserviamo questo cambiamento con curiosità e apertura», continua De Stefano, sottolineando la necessità di comprendere le evoluzioni della realtà tecnologica per riuscire a capirne le esatte potenzialità ed eventuali minacce.
«È importante riconoscere tanto le opportunità quanto le sfide che l'IA porta con sé. Il dibattito sull'uso dell'intelligenza artificiale in psicoterapia è ancora agli inizi, e spesso si basa su opinioni o su evidenze preesistenti, che giustamente sottolineano quanto la relazione umana – in particolare l'alleanza terapeutica – sia centrale nel percorso clinico».
La questione però sembra non essere soltanto su quanto l'IA potrà prendere il posto dei terapeuti: «La vera domanda è: come possiamo sviluppare strumenti basati sull'intelligenza artificiale che siano etici, sicuri ed efficaci, e che possano ampliare l'accesso al supporto psicologico?», sottolinea De Stefano.. I PRIMI ESPERIMENTI. Nel frattempo, la ricerca si muove. Il New England Journal of Medicine – sezione NEJM AI ha pubblicato un RCT (studio controllato randomizzato) dal titolo Randomized Trial of a Generative AI Chatbot for Mental Health Treatment, in cui si valuta l'efficacia di Therabot, un chatbot generativo basato su intelligenza artificiale.
I risultati preliminari mostrano riduzioni clinicamente significative dei sintomi di depressione, ansia e disturbi alimentari dopo 4 e 8 settimane di utilizzo, nei partecipanti che hanno interagito con il chatbot rispetto al gruppo di controllo.. PERICOLO SOSTITUZIONE? Nonostante la legittima attenzione per i possibili pericoli di un intreccio così stretto tra sfera personale e tecnologia, gli esperti tendono a far riflettere sulle opportunità di uno scenario di questo tipo. L'idea non è quella di replicare l'empatia umana ma di immaginare nuovi modi per avvicinare chi, a causa di motivi economici geografici o culturali, oggi riesce a prendersi molto poco cura della propria salute mentale.
«L'IA non potrà mai sostituire l'essenza della psicoterapia: il contatto umano», spiega ancora De Stefano. «Così come la terapia online non ha eliminato quella in presenza - ancora oggi preferita da circa il 60% delle persone – allo stesso modo gli strumenti digitali non cancelleranno mai la relazione con lo psicologo. L'IA potrà semmai rappresentare un ponte, una risorsa complementare».
Parlando di rischi però, la dottoressa precisa: «Se di pericoli si può parlare, quello maggiore forse non è tanto la tecnologia in sé ma chi la progetta. Dovranno essere proprio i professionisti della salute mentale a guidarne lo sviluppo in modo responsabile: «Invito quindi a non sottolineare solo i rischi ma a far parte di questa rivoluzione, che in alternativa resterà nelle mani di altro tipo di professionisti», conclude De Stefano.
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