Il cervello ha enormi capacità di recupero. Se perde neuroni, per esempio con l'invecchiamento, altri possono sostituirne le funzioni grazie alla cosiddetta "riserva neuronale". Ma non è un superpotere infinito: a un certo punto la perdita di cellule diventa così grave da non poter più essere compensata. Accade in malattie neurodegenerative come Alzheimer, Parkinson o dopo un ictus. Queste patologie sono sotto la lente dei ricercatori dello Spoke 6 (Neurodegenerazione, trauma e ictus) coordinati da Tullio Florio dell'Università di Genova. Il loro scopo è comprendere i meccanismi di alterazione delle cellule cerebrali e identificare nuovi biomarcatori per la diagnosi precoce e nuovi bersagli per i farmaci. A volte, le soluzioni a questi problemi si trovano in luoghi sorprendenti.
È il caso degli studi di Domenico Pellegrini-Giampietro e di Elisa Landucci, dell'Università di Firenze, che stanno indagando sul ruolo dei cannabinoidi nelle malattie neurodegenerative. Queste molecole che si estraggono dalla Cannabis, delle varietà sativa e indica, da cui si preparano marijuana e hashish, hanno infatti una "doppia faccia" che potrebbe aprire nuove strade terapeutiche. «Le due sostanze più note sono il tetraidrocannabinolo (Thc) e il cannabidiolo (Cbd): il primo è responsabile degli effetti stupefacenti della cannabis, il secondo no e anche per questo viene venduto liberamente in molte nazioni e a differenza del Thc non è considerato doping nello sport», spiega Pellegrini-Giampietro, che da anni studia queste molecole su modelli sperimentali di ischemia cerebrale. Una ricerca pubblicata di recente dal team Mnesys ha dimostrato che il Thc accentua il danno sui neuroni in diversi modi; in particolare alterando la funzione dei mitocondri (le centrali energetiche della cellula) e delle sinapsi. Ma, al contrario, il Cbd mostra un potenziale protettivo nell'ischemia, simile a quanto osservato in altre malattie come la sclerosi multipla e l'epilessia. In quest'ultimo caso, viene già usato con successo nelle forme infantili che non rispondono ai farmaci tradizionali. «Il Cbd inoltre attenua un po' gli effetti negativi di Thc in chi abusa dei prodotti della cannabis», specifica Pellegrini-Giampietro. «Il Cbd è quindi protettivo in condizioni patologiche, cioè in presenza di malattie neurologiche o in caso di abuso cronico di canne e simili. Nelle persone sane non è però una molecola così "tranquilla" come molti pensano, specialmente quando il sistema nervoso è in via di sviluppo: in gravidanza e in adolescenza serve molta attenzione anche con il solo Cbd, perché si è osservato che può avere conseguenze negative sul cervello dei nascituri e dei ragazzi».
caos e cautela
Insomma, il Cbd è una sostanza da maneggiare con cura. Da un lato, potrebbe rivelarsi una risorsa per proteggere i neuroni; dall'altro, è al centro di equivoci, alimentati da una legislazione confusa (in Italia da luglio 2024 è stata inserita fra le sostanze stupefacenti e in farmacia può essere venduta solo dietro ricetta medica) e da un consumo spesso superficiale. «In Italia esistono due farmaci, uno con Cbd puro per l'epilessia infantile refrattaria, l'altro che contiene Thc e Cbd in dosi uguali per la sclerosi multipla e il dolore oncologico, come coadiuvante della terapia che può diminuire la necessità di oppioidi», informa Pellegrini-Giampietro. «Accanto ai farmaci ufficiali, però, esiste un mondo caotico e non regolamentato di estratti di cui è difficile conoscere la vera composizione. La pianta di cannabis è un "vaso di Pandora": contiene moltissimi cannabinoidi e, a seconda di come vengono estratti, si ottengono prodotti molto diversi. Oggi abbiamo qualche informazione clinica in più solo per Thc e Cbd. A complicare il quadro, le piante non sono tutte uguali. Insomma, l'obiettivo delle ricerche è caratterizzare al meglio questo insieme di molecole per individuare le combinazioni più utili nelle diverse condizioni». Resta però una sfida cruciale: come portare queste molecole nel cervello con la massima efficacia? A proteggerlo, infatti, c'è la barriera emato-encefalica, un "cancello" quasi invalicabile che blocca il 98% dei farmaci. Per superarla, Anna Rita Bilia, chimica dell'Università di Firenze, sta sviluppando minuscole nano-vescicole, bolle di lipidi infinitamente piccole. Queste "navicelle" possono essere caricate con i farmaci, attraversare la barriera e rilasciarli in modo controllato. I test sono in corso proprio per il Cbd, ma la tecnologia potrebbe rendere più efficienti molte terapie neurologiche..