Sànchez, leader della sinistra internazionale e appeso a un filo dopo il tornado delle inchieste. Il governo: “Chiediamo scusa ma arriviamo al 2027”

  • Postato il 1 luglio 2025
  • Zonaeuro
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

L’Anti-Trump contro le spese pazze per il riarmo della Nato: “Significherebbe tagliare il welfare”. Il portabandiera del “tax the richdopo che il G7 ha chinato il capo agli Stati Uniti. Incrollabile sul Medio Oriente: il riconoscimento della Palestina nel 2024, l’accusa di doppio standard all’Ue, “perché le sanzioni alla Russia sì e a Israele no?”. Profeta sui “nuovi diritti” dei lavoratori del Duemila: un salario minimo, la riduzione dell’orario dei turni. Il sol dell’avvenire della sinistra europea splende da anni solo a Madrid, ma giorno dopo giorno l’immagine luminosa di Pedro Sànchez – capo del governo socialista della Spagna da sette anni, prototipo e miraggio degli elettori progressisti di mezza Europa – dà l’impressione di calare a velocità raddoppiata verso l’orizzonte. Gli allibratori non accetterebbero scommesse: Sànchez è stato dato più volte per spacciato in altre curve a gomito del suo percorso politico e lui si è poi divertito a smentire aruspici e avvoltoi. Queste settimane però colorano il cielo con tinte scure. L’inchiesta per corruzione nel Psoe si è arrampicata fino a un ex ministro e al responsabile organizzativo del partito socialista che – come suggerisce l’acronimo – nel nome mantiene obrero, operaio: entrambi sono “creature” di Sànchez. E se finora, nei momenti complicati, il fronte sanchista (il partito e la maggioranza di sinistra-centro punteggiata di mini-alleati) si era compattato in difesa del capo, questa volta il presidente del gobierno si volta e trova sguardi più disincantati per non dire gelidi: degli elettori, dei compagni di partito, dei soci di governo. Yolanda Diaz, leader di Sumar, vicepremier, ministra del Lavoro, la più vicina a Sànchez, usa parole come “rabbia“, “vergogna“, chiede un “giro copernicano“: non basta riverniciare il partito, servono leggi anticorruzione più dure. Così il muso duro al tavolo belligerante dell’Alleanza Atlantica o il fronte mondiale per un fisco che redistribuisca le ricchezze che Sànchez lancia insieme al presidente brasiliano Lula hanno l’effetto di un quadro divisionista: da vicino il risultato è diverso.

Mentre questo articolo va online ad avere questioni con Procure e tribunali spagnoli sono l’ex numero 3 del partito, l’ex ministro dei Trasporti, il consigliere di quest’ultimo, l’attuale ministro della Giustizia, il fratello del premier, la moglie del premier. Il primo di questa lista si chiama Santos Cerdàn e, come annota leccandosi i baffi El Mundo, “in 18 giorni è passato da essere l’onnipotente segretario organizzativo del partito di maggioranza del governo di coalizione a dormire in carcere”. L’immagine di Cèrdan, il fedelissimo di Sànchez, “l’architetto del governo” perché negoziatore per gli indispensabili voti di partitini regionali baschi, catalani, galiziani, che entra nel palazzo di giustizia per farsi interrogare dal giudice è rimbalzata su giornali e televisioni. “Un’immagine straziante e deludente”, “dolorosa”, dicono dal governo. Chiedono di nuovo scusa, come già aveva fatto Sànchez in persona quindici giorni fa.

E’ inevitabile l’impatto sull’opinione pubblica di un Paese ancora sensibile agli scandali che hanno a che fare con gli arricchimenti personali dei politici e la prova sta nei conti salati pagati dal Partito popolare, tenuto a distanza dalla Moncloa, sede del governo, da anni. Il Partito socialista ha sempre garantito il pugno di ferro contro le tangenti e invece ora cade dentro questo buco nero. Non aiuta lo sciopero di tre giorni, proprio ora, di un pezzo della magistratura per la riforma che modifica l’accesso alla professione e affida ai procuratori – e non più ai giudici – l’istruzione delle cause penali. Le toghe lamentano il pericolo di perdita di indipendenza: un’altra cartolina nella posta dei lettori-cittadini-elettori.

Le inchieste: la moglie, il fratello, il braccio destro
Le inchieste che girano vorticosamente intorno al premier spagnolo come un tornado sono quattro. Due vedono coinvolta la moglie, Begoña Gómez, esperta di marketing, oggetto di vari esposti di un sedicente sindacato di destra (si chiama Manos Limpias, dice di essersi ispirata a Mani Pulite). L’indagine è partita da un’accusa per traffico d’influenze e corruzione che spinse lo stesso Sànchez a un atto eclatante un anno fa: la minaccia di dimissioni, con lettera aperta agli spagnoli, contro la “macchina del fango”. “L’estrema destra – scrisse – non accetta il risultato elettorale”. Quell’inchiesta è stata archiviata. Ne sono nate però altre, sempre su impulso di associazioni di destra, come Hazte Oìr (fatti sentire) e la stessa Vox. Una riguarda un’appropriazione indebita di un software dell’università Complutense di Madrid, per la quale lavorava. Un’altra si concentra sulla nomina di un’assistente di Gòmez, Cristina Alvarez, che secondo il giudice istruttore benché percepisse uno stipendio pubblico avrebbe avuto “funzioni di assistenza di carattere strettamente privato, al margine di qualsiasi atto di carattere pubblico o protocollare”. A quest’ultima storia è legato il rischio di indagine per il ministro della Giustizia Fèlix Bolaños che il tribunale vorrebbe interrogare per un sospetto di falsa testimonianza.

Poi c’è la storia del fratello minore di Sànchez, David, musicista, direttore d’orchestra. Nel 2017 fu assunto dal Comune di Badajoz, in Estremadura, come responsabile dell’ufficio Spettacolo. Anche in questo caso a contestare la regolarità della procedura sono stati Manos Limpias e Vox. La procura aveva chiesto l’archiviazione, ma il tribunale ha deciso per l’apertura del processo per abuso d’ufficio e traffico di influenze. A processo è finito anche il segretario regionale del Psoe, Miguel Angel Gallardo. Fin qui Sànchez – il maggiore – ha avuto fiato e voce per additare associazioni di ultradestra di presentare esposti per far uscire qualche titolo sui giornali.

Ma è una strada impraticabile, ora, per l’inchiesta – ultima e più grande – che tira nella rete pesci da portata di Capodanno: l’ex ministro dei Trasporti Josè Luis Abalos (rimasto al governo fino al 2021), il suo consulente Koldo Garcìa Izaguirre (consulente che ha battezzato i titoli giornalistici, si parla di “caso Koldo”) e, appunto, Santos Cerdàn, fino a metà giugno responsabile organizzativo del partito socialiste. Tecnico industriale nell’agroalimentare, 56 anni, è rimasto un politico di livello regionale (in Navarra) finché non ha seguito la scia dell’astro nascente Sànchez, nel 2017, per il quale fece campagna elettorale alle primarie di partito vinte dal futuro premier. Con l’era sanchista Cerdàn è diventato deputato e infine numero 3 del Psoe. Secondo la Procura era l’intermediario delle mazzette – cresta di appalti stradali – a favore di Abalos e Koldo. Ci sono intercettazioni sospette, ci sono mail sospette, ci sono documenti sospetti. Non c’è prova finora, ma tanto basta perché Cerdàn abbia varcato la soglia della cella.

La sinistra che assedia Sànchez
Ora si alza il volume dello scricchiolio della sedia di Sànchez anche perché anche un pezzo di sinistra aspettava questo momento quasi più della destra. Javier Cercas, scrittore e commentatore, tradotto in tutto il mondo, oggi ha iniziato così il suo pezzo di opinione irremovibile da ore sulla homepage del Paìs: “Deve dimettersi il presidente Sànchez? Senza indugi: sì. Lo ha detto Podemos ma lo sanno tutti i partiti che appoggiano il governo, cominciando dal Psoe: manca di legittimità per governare un presidente i cui due collaboratori più stretti per un decennio sono indagati”. Per tradurla un po’ con faciloneria: è come se Antonio Scurati chiedesse le dimissioni di Elly Schlein. Fa stretching a bordo campo anche la minoranza del Partito socialista: il presidente di Castiglia e La Mancha Emiliano García-Page – acerrimo nemico di Sànchez – dice che “alcuni vogliono farsi passare come vittime” e questo “possono farlo molti di coloro che non hanno niente a che vedere con gli indagati o con le loro nomine ma non potranno mai farlo quelli che sono stati determinanti per la loro traiettoria politica”. E’ esattamente questo il capo d’imputazione al quale Sànchez è costretto a rispondere non tanto al presidente castigliano quanto al proprio elettorato.

Ancora il “preferito”, ma il gradimento non basta
Al momento Sànchez manda a dire che il suo traguardo è il 2027 e, insomma, Cercas e le minoranze socialiste possono sedersi in sala d’attesa: niente dimissioni, niente elezioni anticipate, niente mosse di palazzo per sopravvivere. “Ne vale la pena, per trasformare il Paese e migliorare la condizione della classe media e lavoratrice” ripete come un mantra, come negli ultimi 7 anni, la portavoce del governo. Può sembrare incredibile ma, a dispetto dei consensi dei partiti, Sànchez è ancora il preferito tra i leader in Spagna, di gran lunga: l’ultimo sondaggio gli dà un gradimento del 22 per cento (il primo inseguitore ora è Santiago Abascal di Vox al 9,5). Ma questa volta il destino del premier “invincibile” non sta tutto tra le sue mani. La sua maggioranza già fragile, che si tiene in piedi soprattutto perché l’alternativa è la destra tradizionale e nazionalista, in questi giorni ha avuto altri episodi di smottamento, minuscoli ma significativi come una parlamentare valenciana della sinistra che si è trasferita nel Misto. “Stare in un gruppo parlamentare limita la possibilità di intraprendere negoziati individualmente”. Riferendosi al dirigente arrestato ieri Sànchez aveva scandito, sconsolato, due settimane fa: “Abbiamo sbagliato a fidarci di lui”. Resta da capire se prima o dopo i compagni di partito, gli alleati di governo, gli elettori non lo diranno di lui.

L'articolo Sànchez, leader della sinistra internazionale e appeso a un filo dopo il tornado delle inchieste. Il governo: “Chiediamo scusa ma arriviamo al 2027” proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti