Scudo penale per i medici: per accertare la ‘colpa grave’ si terrà conto della “scarsità di risorse” della sanità (senza provare a risolverla)

  • Postato il 6 settembre 2025
  • Lavoro
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Un maggiore coinvolgimento degli specializzandi nel Servizio sanitario nazionale, l’introduzione di nuovi incentivi per arginare la carenza di personale nei reparti, l’istituzione di una scuola di specializzazione per i medici di famiglia, ma anche chimici, odontoiatri e biologi. E soprattutto l’attesa conferma del cosiddetto scudo penale a tutela dei medici. Sono i contenuti principali del disegno di legge delega approvato il 4 settembre, dopo il passo falso dello scorso 4 agosto – pensato per riformare e riordinare le professioni sanitarie. Una misura che nasce con l’obiettivo di rendere più attrattiva la carriera nella sanità pubblica e frenare la fuga dei professionisti nel privato. Tra i provvedimenti più attesi, in tal senso, c’è senz’altro la stabilizzazione dello scudo penale per i camici bianchi. Un sistema – nato durante il Covid e poi prorogato – per salvaguardare il professionista da denunce e da richieste di risarcimento palesemente immotivate. Una protezione definitiva per chi esercita l’attività sanitaria, richiesta a gran voce da sindacati e associazioni di categoria viste le condizioni drammatiche in cui spesso sono costretti a operare i professionisti, continuamente esposti al rischio di commettere errori. Il problema è che il testo del provvedimento, dopo aver individuato il problema nella carenza di risorse umane e materiali disponibili nei nostri ospedali, più che cercare di risolverlo, lo dà per assodato e insuperabile. Introducendo uno scudo penale che, per quanto utile alla serenità dei professionisti, non affronta i numerosi temi alla radice della crisi.

La stabilizzazione dello scudo penale per i professionisti

Lo schema di ddl dispone come dovranno essere strutturate le modifiche al codice penale: il sanitario che commette reati di lesioni o omicidio colposo nell’esercizio della propria attività è punibile solo per colpa grave a condizione che abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida, definite e pubblicate ai sensi di legge, o le buone pratiche clinico assistenziali, “sempre che le predette raccomandazioni o le buone pratiche risultino adeguate alla specificità del caso concreto”.

Nel provvedimento, inoltre, si specifica che durante l’accertamento della colpa e del suo grado si deve tenere conto di una serie di fattori (affrontati all’articolo 7 del ddl): della scarsità di risorse umane e materiali disponibili; delle eventuali carenze organizzative (quando queste non sono evitabili); della mancanza, limitatezza o contraddittorietà delle conoscenze scientifiche su patologie o terapie; della concreta disponibilità di terapie adeguate; della complessità della patologia; dello specifico ruolo svolto in caso di cooperazione multidisciplinare; e infine della presenza di situazioni di urgenza o emergenza. E proprio l’introduzione di questi fattori ha scatenato le proteste di Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra alla Camera, che ha definito tali specifiche una forma di “autoassoluzione” da parte dell’esecutivo: “In sostanza è un modo per legittimare lo stato di abbandono della sanità pubblica contro il quale il governo non vuole investire neanche un euro”, ha commentato Zanella.

Contro la carenza di personale: incentivi e specializzandi

Nell’ottica di rafforzare l’attrattività del Ssn, fra i principi che verranno attuati c’è il contrasto alla carenza di personale e alla disomogeneità nella distribuzione dei professionisti sanitari nell’ambito delle diverse discipline e aree di attività, anche attraverso il ricorso a forme di lavoro flessibile per l’impiego degli specializzandi nel Ssn, “compatibilmente con le esigenze di formazione”.

Inoltre, si punta a favorire il mantenimento in servizio del personale sanitario anche con incentivi per lo sviluppo della carriera professionale e con interventi in favore del personale che opera in particolari condizioni di lavoro, o che presta servizio in aree disagiate. Gli obiettivi sono l’ottimizzazione dei tempi di lavoro, la sicurezza dei professionisti e l’introduzione di premi legati alla performance (compresi gli indicatori riferiti alla riduzione delle liste d’attesa). Inoltre, il testo di propone di razionalizzare e semplificare le attività amministrative che gravano sul personale sanitario. Infine, nel disegno di legge delega è indicata la volontà di definire una strategia per la costruzione di un sistema di governance dell’intelligenza artificiale nel settore sanitario, e quella di introdurre misure volte a valorizzare il ruolo degli Ordini professionali quali organi sussidiari dello Stato.

Nuove specializzazioni: medici di famiglia, chimici, odontoiatri e biologi

Altro argomento molto sentito è quello della formazione, a cui è dedicato l’articolo 5. Qui si affronta il tema dell’istituzione di una scuola di specializzazione in medicina generale. Oltreché di quelle per la professione di chimico (in modo da ampliare le possibilità di accesso all’Ssn e garantire il turnover generazionale), odontoiatra e biologo (per inserire professionisti nell’ambito dell’igiene pubblica a indirizzo ambientale).

Le tappe del ddl: le scadenze e i finanziamenti (che non ci sono)

Il governo, secondo il testo, deve adottare entro il 31 dicembre 2026 uno o più decreti legislativi, su proposta del ministro della Salute, di concerto con i ministri di Pubblica amministrazione, Economia e finanze, Giustizia ed Università. Il tutto dopo il via libera della Conferenza Stato-Regioni. Le Camere dovranno esprimere i loro pareri entro 30 giorni dalla data di trasmissione degli schemi dei decreti. È poi previsto anche che, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi emanati nell’esercizio della delega, possano eventualmente essere adottate disposizioni integrative e correttive.

Il testo specifica anche le disposizioni finanziarie: i decreti attuativi che seguiranno vanno corredati di una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria o dei mezzi di copertura di eventuali oneri aggiuntivi previsti. Fermo restando questo, la linea indicata è che dall’attuazione delle deleghe previste nel ddl non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che si debba agire con le risorse disponibili. Tradotto, non verranno stanziati nuovi fondi.

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Il Fatto Quotidiano

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