Scuola chiusa e nessun piano estivo: le famiglie italiane in difficoltà

  • Postato il 27 maggio 2025
  • Di Panorama
  • 2 Visualizzazioni

Tra una dozzina di giorni, la scuola finisce. I bambini festeggiano, i genitori si preoccupano. Anzi, hanno già iniziato a farlo e non è una questione di voti, pagelle e medie scolastiche: i pensieri riguardano le finanze familiari e la gestione delle giornate, perché l’estate in Italia è ancora un salto nel vuoto: tre mesi senza rete.
Non una rete organizzativa, non una rete pubblica di supporto e di aiuto gestionale. Solo quella domestica, quella del Wi-Fi, a cui molte famiglie finiranno per delegare — per necessità più che per sceltal’intrattenimento dei figli.

Siamo nel 2025 e lo scenario è lo stesso dello scorso anno, di quello prima, insomma di sempre: la scuola chiude il giorno 8 giugno e il resto delle istituzioni si volta dall’altra parte. Nessun piano nazionale, nessuna struttura pubblica, nessuna risposta concreta per il tempo lungo dell’estate.
Chi ha fortuna trova posto all’oratorio, che però non è per tutti, anche solo per una questione numerica, e poi non tutti intendono avvalersene, anche se per la gestione del tempo estivo l’aiuto della Provvidenza di quartiere viene accolto con meno scetticismo anche dai più critici.
Chi può permetterselo si rivolge ai campus privati, con costi che in certi casi superano mille euro al mese per figlio.
Attività talvolta splendide, ma non per tutti, e poi qui la questione riguarda l’offerta pubblica, non quella libera privata, sempre disponibile, volendo sceglierla e potendo farlo.
Chi non ha né l’uno né l’altro, si arrangia: con i nonni, con le ferie divise a spizzichi, con babysitter occasionali o — sempre più spesso — con tablet e TV a farla da padroni.

In altri Paesi, innanzitutto, c’è una diversa distribuzione delle ferie e delle pause scolastiche, pur gestendo un tempo scuola analogo in termini di giorni in aula annuali.
La riforma del calendario scolastico è una strada necessaria almeno da pensare – eh sì, perché ci vorranno mesi e mesi di lavoro solo per giungere a un primo modello sostenibile e presentabile – ma va percorsa con serietà e investimenti veri.
Non servono rammendi.
Servono scuole dotate di impianti di climatizzazione, di spazi adeguati, di personale formato per un’attività didattica estiva che sia diversa, più flessibile, più esperienziale.
Servono quindi idee e non improvvisazioni, lungimiranza e non rattoppo, e quindi investimenti ingenti per il welfare familiare.
Serve una revisione profonda, soprattutto nel primo ciclo, che sia capace di allineare i tempi educativi con quelli sociali ed economici del Paese.
I tre mesi di feriebellissimi, chi ne farebbe a meno potendo?! – erano funzionali a strutture familiari che non esistono più, o che quantomeno non rappresentano il modello sociale più diffuso.

Inoltre, per non affidare il tema del tempo estivo totalmente alla riforma del calendario — che rischierebbe di catalogarla nella categoria “problemi irrisolvibili” con buona pace di tutti — ecco altri possibili scenari:
In Francia ci sono contributi statali ad hoc per famiglie proprio per andare incontro a queste spese estive per ragazzi fino agli 11 anni.
In Germania e Olanda i comuni organizzano programmi educativi accessibili a tutti, a dimostrazione che la buona gestione locale pubblica può intervenire in assenza di un programma nazionale.
In Svezia c’è un sistema di servizi educativi integrati che di fatto tiene le scuole estive pubbliche aperte anche a luglio per i ragazzi fino ai 12 anni.
Da noi? Ci si affida al caso, alla rete informale delle parrocchie, alla disponibilità (e alla salute e alla sopravvivenza) dei nonni.
E chi non ha alternativa, si rassegna a giornate intere davanti a uno schermo.

E non basta dire “c’è agosto”. Agosto non è per tutti. Le ferie non coprono tre mesi, e chi lavora nel turismo, nella sanità, nei servizi, non può nemmeno pensarci.
Così, estate dopo estate, si alza la soglia della fatica. E si abbassa quella della qualità.
L’estate, che dovrebbe essere un tempo di scoperta, gioco, libertà, diventa un problema di logistica da risolvere con mezzi propri — o con uno schermo.
Ma davvero possiamo ancora permettercelo?
Serve una rete vera. Fatta di centri estivi pubblici, accessibili, diffusi.
Fatta di orari compatibili con chi lavora.
Fatta di visione, perché l’educazione non si ferma a giugno e la famiglia non è un affare privato.

Il paradosso è tutto qui: parliamo continuamente di crisi demografica, di sostegno alla genitorialità, di conciliazione lavoro-vita, e poi lasciamo le famiglie da sole per novanta giorni, senza uno straccio di struttura pubblica su cui contare.
E senza che ci sia una campagna elettorale, nazionale o locale, che si faccia carico del problema. Nemmeno una promessa: è davvero un grande rimosso, perché affrontare la questione significa prevedere un investimento economico e di energie notevole, notevolissimo.
Necessario.

Un’estate pubblica è possibile.
Ma va costruita con idee lungimiranti e risorse ingenti.

Il problema non è la mancanza di soluzioni. È la mancanza di volontà.

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti