Scuola, invece dei meme servono riforme: cosa non funziona davvero nell’istruzione italiana

  • Postato il 10 luglio 2025
  • Di Panorama
  • 2 Visualizzazioni

È diventato ormai un rito estivo: a ogni fine d’esame di maturità, il dibattito pubblico si accende attorno a casi di sciocchezze iperboliche: lo studente che rifiuta l’orale, quello che dichiara di guadagnare 35 mila euro all’anno, fino al consueto, orribile elenco di strafalcioni raccolti per intrattenere, ma che finiscono per risultare più umilianti che divertenti. Poco prima c’erano state le pagine sui compiti delle vacanze, poi superate dalle polemiche intorno ai fiori. Sui social si scatenano le indignazioni, i talk show e i titoli di giornale inseguono il caso di turno, e intanto l’attenzione collettiva si consuma nel commentare episodi isolati, alzando polveroni che non aiutano a vedere il quadro d’insieme. Certo, ogni caso potrebbe stimolare un pensiero più profondo, perché in ogni usanza c’è un pezzetto di civiltà – o di degrado – e in ogni gesto un simbolo, o una presa di posizione su cui riflettere. Ma non è così e tutto resta in superficie. E così sorge un problema di fondo: davvero pensiamo che la crisi della scuola italiana si risolva commentando un ragazzo che non si presenta all’orale? O uno che, legittimamente, guadagna dei soldi lavorando? O al fatto che qualche studente confonda date o nomi storici e della letteratura? 

È questa la misura del nostro dibattito sulla scuola? La verità è che la scuola italiana affronta problemi ben più profondi e strutturali: la dispersione scolastica, il precariato cronico del corpo docente, le disuguaglianze territoriali, l’edilizia scolastica fatiscente, il disallineamento tra scuola a seconda del bacino d’utenza: questi sono i nodi reali, complessi, che richiederebbero un dibattito serio, lungo, collettivo. E invece preferiamo rifugiarci nel sensazionalismo, perché è più facile indignarsi per un singolo caso che confrontarsi con le inefficienze di un intero sistema: si sfoga la rabbia e, anziché costruire, si continua a demolire.  Abbiamo bisogno di meno gossip e più pensiero. Di meno indignazione e più riforme. Di meno casi da prima pagina e più ascolto reale di chi nella scuola vive ogni giorno: studenti tra cattedre vuote ieri, ora e così sarà anche a settembre, come ogni settembre – ma anche programmi che, a prescindere dalle indicazioni, arrivano sempre allo stesso punto di trent’anni fa – e docenti ridotti a insegnare in un sistema che li sottopaga e sottostima. Se vogliamo davvero aiutare la scuola, dobbiamo cominciare col cambiare il modo in cui ne parliamo. 

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti