Se in Germania ricominciano a chiamare la guerra con il suo nome, l’Europa non potrà più voltarsi dall’altra parte
- Postato il 6 luglio 2025
- Di Panorama
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Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha scosso l’opinione pubblica affermando che Israele, nel conflitto con l’Iran, sta facendo drecksarbeit – il lavoro sporco – per tutti noi. Una dichiarazione che, oltre a valergli minacce di azioni legali, ha acceso per giorni il dibattito sui giornali. La reazione non nasce solo dal contenuto, ma dal modo in cui Merz ha scelto le parole: in un panorama politico e mediatico tedesco dominato da termini asettici e distaccati, la sua espressione diretta ha squarciato la cortina di eufemismi che spesso nasconde la brutalità della realtà.
La lingua tedesca, segnata dalla storia e dalla responsabilità per i crimini del passato, ha sviluppato una tendenza a neutralizzare il dolore, a distanziare la morte e la sofferenza con parole come kollateralschaden (danni collaterali) o zivile Opfer (vittime civili). Termini che trasformano la tragedia in concetti astratti, più facili da digerire. In questo contesto, drecksarbeit irrompe come una scheggia, una parola cruda che non permette distacco né rimozione.Ma il riarmo tedesco non si misura solo in ordini di panzer, droni o missili. Prima ancora che negli investimenti militari, il vero cambiamento avviene nelle coscienze, nella cultura e nel linguaggio di un popolo che, più di altri, ha conosciuto gli orrori del militarismo. In Germania, la lingua è stata strumento di manipolazione e propaganda, ma anche di riflessione e memoria collettiva. Ogni parola pronunciata nel dibattito pubblico plasma la percezione della realtà e, di conseguenza, il futuro della nazione.
Questa tendenza al distacco linguistico non è casuale. Dopo il trauma del nazismo, la Germania ha sviluppato una forte avversione per la retorica emotiva e populista. I nazisti sfruttarono ogni registro comunicativo per manipolare le emozioni, coltivare il culto del sacrificio e alimentare odio e paura. Da allora, la politica tedesca ha preferito una comunicazione asettica, razionale, quasi clinica, che però rischia di diventare una fuga dalla realtà. Il concetto di vergangenheitsbewältigung — il superamento del passato — si è trasformato spesso in una riflessione astratta, che rende sempre più superficiale la conoscenza dei crimini storici. La Shoah, per esempio, viene definita zivilisationsbruch, un termine che, pur nella sua importanza, rischia di diventare un semplice segnaposto.Lo storico e giornalista Nils Minkmar sottolinea dalle colonne della Süddeutsche Zeitung come la lingua tedesca sia piena di termini che allontanano il pubblico dalla realtà. Non si parla più di «guerra» (krieg), ma di «operazioni militari speciali» (militärische spezialoperation) o «interventi armati all’estero» (bewaffnete Auslandseinsätze). Un linguaggio che, secondo Minkmar, crea un «rumore di fondo discorsivo» (diskursives grundrauschen), filtrando l’orrore e trasformando la guerra in un gioco di parole.
Ma la minaccia non viene solo dall’interno. La Germania, come gran parte dell’Europa, è bersaglio di operazioni di influenza e disinformazione provenienti dalla Russia. Fake news, deepfake audio, siti web falsi e profili social manipolati. L’obiettivo è sempre lo stesso: seminare divisione, diffondere sfiducia nelle istituzioni e indebolire la solidarietà europea. Nonostante la persistenza di questi tentativi, l’impatto sul comportamento di voto dei tedeschi resta limitato.In questo clima, il linguaggio politico tedesco – già distante e asettico – diventa terreno fertile per la manipolazione. Quando il dibattito pubblico si perde in questioni astratte, è più facile che voci estranee, come quelle della destra massimalista rappresentata dall’AfD, possano insinuarsi e deviare il discorso con una retorica semplificata e divisiva.
Di fronte a queste sfide, la politica tedesca spesso non è stata all’altezza. Il predecessore di Merz, il socialdemocratico Scholz, ha per esempio evocato una profezia di riscossa, quella della zeitenwende, ma è apparso vago e inconcludente. Merz ha invece capito che una delle lezioni della storia tedesca è che silenzio e distanza non sono la soluzione. La realtà della guerra, della gewalt (violenza) e del leid (la sofferenza) non può essere nascosta dietro una cortina di parole. Merz vuole che la Germania e l’Europa ritrovino la capacità di guardare in faccia la realtà, di chiamare le cose con il loro nome e di agire di conseguenza.