Serial killer mon amour: la nostra dipendenza dall’orrore (e cosa rivela di noi)
- Postato il 18 ottobre 2025
- Di Panorama
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Robert Bloch era uno che di mostri se ne intendeva. È stato uno dei più grandi romanzieri di noir e thriller della storia statunitense, ma soprattutto è l’uomo dalla cui mente è scaturito Norman Bates, protagonista del romanzo Psycho del 1959, forse l’archetipo di tutti i serial killer del grande e del piccolo schermo, reso immortale dal capolavoro di Alfred Hitchcock del 1960 con Anthony Perkins.
Bloch aveva un cruccio: continuavano a ripetere che Bates non se lo fosse inventato, ma lo avesse disegnato ricalcando la figura di Ed Gein (1906-1984), uno dei più celebri, disturbati e disturbanti assassini di ogni tempo. Ancora oggi articoli di siti e giornali ripetono il ritornello: Bates è Gein con qualche variazione. In effetti, la sovrapposizione è ristabilita anche dalla terza stagione della serie Monster creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, intitolata appunto La storia di Ed Gein. Si tratta di un’opera senz’altro efficace, di alto livello, in grado di trasmettere per tutto il tempo un profondo senso di disagio. Qualche critico ha notato, non senza ragione, che i due autori paiono voler infierire sullo spettatore, come per fargli scontare la sua morbosità.
«Come i due episodi precedenti della serie, su Jeffrey Dahmer e i fratelli Menendez», ha scritto su Time Judy Berman, «Ed Gein racconta con dettagli raccapriccianti – e in gran parte fantastici – la leggenda di un famigerato assassino, con l’obiettivo di comprendere cosa la nostra ossessione collettiva e l’inevitabile incomprensione di ogni caso dicano sulla società. Affrontando Gein, Monster coglie l’occasione per accusare proprio il pubblico che l’ha resa una delle serie tv più popolari». Come a dire che certe storie non dovrebbero essere raccontate, eppure ne siamo tutti (o quasi) fatalmente attratti.
Da storie simili era di sicuro attratto anche Robert Bloch, e altrettanto di sicuro conosceva la storia di Gein. Nella serie Monster si vede Hitchcock a pranzo con il suo sceneggiatore: il maestro del brivido divora pollo mentre quello gli elenca le mostruosità compiute da Gein, tra cui la realizzazione di una lampada foderata di pelle umana. Ma è una ricostruzione probabilmente fantasiosa. E ancora in una intervista del 1991, Bloch insisteva a ripetere: «Non ho usato Ed Gein come base per Norman Bates; ho usato le circostanze, che erano: qualcuno potrebbe vivere in una piccola città, dove tutti conoscono gli affari di tutti gli altri, e condurre una serie di omicidi senza che nessuno sospetti».
L’atmosfera, non l’uomo. Una atmosfera allucinata e sofferente che la serie di Murphy rende alla perfezione. Bloch continuava a dirlo, ma la sua versione non è stata considerata dalla storia orale dell’Occidente. «Alla gente non piace», diceva lo scrittore. «A loro piace credere alla leggenda. Quando si arriva al dunque, Ed Gein non gestiva un motel. Non ha ucciso nessuno nella doccia. Non ha preservato il corpo di sua madre. Nessuna di queste cose faceva parte del background del signor Gein. Ho inventato un personaggio, non avendo letto i dettagli all’epoca. La rivista Life e alcune altre pubblicazioni in seguito stamparono un sacco di materiale, ma non l’avrei usato nemmeno se fosse stato disponibile, perché non soddisfaceva le mie particolari esigenze di trama. Ma la leggenda persiste e continuerà a persistere».
Per leggere qualcosa di abbastanza serio sulla vita di Gein, dunque, non si deve sfogliare Psycho, ma piuttosto Monster psycho killer di Harold Schechter, notevole ricostruzione giornalistica true crime. Oppure si può lasciare perdere Gein e scegliere una fra le tante belve disumane prodotte dalla letteratura sui serial killer, poco importa che si tratti del Patrick Bateman di Bret Easton Ellis o del Hannibal di Thomas Harris. La varietà, va detto, non manca. Si può optare per i gioielli neri firmati da Joyce Carol Oates o per il – purtroppo – poco conosciuto protagonista di Io ti troverò dello straordinario Shane Stevens, il killer Thomas Bishop. Oppure immergersi nel fondo limaccioso della narrativa di genere, che regala ogni tanto piccole e lucenti perle (ma anche tanta paccottiglia). Poco cambia, dopo tutto, perché alla fine rimane sempre in sospeso l’antica domanda: perché queste storie ci attraggono così tanto? E cosa dice di noi questa attrazione?
Una tra le mille risposte possibili è che i serial killer sono la versione concentrata e spaventosa di mali che affliggono tutti noi moderni. Sono a tutti gli effetti un prodotto della modernità alienata. «Il termine serial killer nasce negli Stati Uniti. È stata l’Fbi a categorizzare tra gli anni Cinquanta e Sessanta quella specifica fetta di assassini che, rispetto agli altri, si distinguevano per alcune caratteristiche» spiega Gianluca Zanella, autore di Serial Killer. I volti del male (Diarkos).
«Tra le principali ci sono la ricerca, con l’omicidio, di un piacere sessuale e la ritualità. Il serial killer, tranne alcune notevoli eccezioni (pensiamo al nostrano Donato Bilancia), tende a ripetere, magari arricchendolo, un modus operandi preciso, pregno di un diffuso simbolismo che spesso solo a lui è comprensibile. Per tanti anni i serial killer dovevano aver ucciso almeno tre persone per essere definiti tali. Oggi “bastano” due vittime, purché tra l’una e l’altra vi sia quel periodo che i criminologi chiamano di “raffreddamento emotivo”, ovvero un distacco da quanto commesso, prima che subentri ancora l’impulso a uccidere. Naturalmente le caratteristiche possono essere molte altre e ciascun serial killer ha delle peculiarità che lo rendono a suo modo unico».
Ed Gein senza dubbio è stato unico, ed è passato alla storia come uno fra i macellai più brutali. «Ed Gein è l’archetipo del serial killer americano, un po come il mostro di Firenze lo è per l’Italia», dice Zanella. «Gein ha infranto quell’apparente innocenza dell’America di provincia nel modo piu plateale, brutale, trasgressivo possibile. Ha ucciso, ha profanato tombe, ha dissezionato cadaveri per farne oggetti d’arredo nella sua casa, e alla base di tutto c’è un rapporto ossessivo con una madre che ha senz’altro avuto un ruolo determinante nella formazione del futuro assassino seriale. Come poi evidenzia la serie tv, un impulso notevole alla creazione della leggenda nera l’ha dato il cinema: da Psyco a Non aprite quella porta, sono tanti i registi che si sono lasciati ispirare dell’incubo che ha scosso l’immaginario collettivo americano e occidentale in genere».
Hollywood ha cullato gli incubi di intere generazioni, ma i serial killer per gli Stati Uniti sono stati anche una realtà particolarmente concreta. «Non credo di sbagliare nel sostenere che lo Stato americano piu infestato di serial killer negli anni sia la California: Zodiac e Richard Ramirez (The Night stalker) sono i piu famosi, ma ce ne sono altri magari meno noti, ma assolutamente letali, come William Bonin, Samuel Little, Juan Corona», dice Zanella. «Senza dimenticare la Manson Family, che commise lo scempio di Cielo Drive, dove nella notte tra l’8 e il 9 agosto 1969 assassinarono cinque persone, compresa Sharon Tate, moglie del regista Roman Polansky incinta all’ottavo mese. La ragione non la saprei dire, certamente città come Los Angeles e San Francisco, grandi e dispersive, consentono a chiunque di potersi rendere potenzialmente invisibile, ma dubito sia solo questa la ragione. La realtà è che i serial killer sono il prodotto non tanto di una società malata, quando di famiglie spesso abbandonate nella loro miseria, isolate, disfunzionali. E probabilmente la California ha avuto più situazioni del genere rispetto ad altri Stati americani».
Peter Vronsky, studioso dei serial killer e autore di Figli di Caino (Nua edizioni) sostiene che vi sia stata una “età dell’oro” degli assassini statunitensi che va più o meno dal 1945 alla metà degli anni Novanta. «Nei primi cinque decenni del XX secolo, negli Stati Uniti si è registrata una media in lenta crescita di un numero che andava dai venti ai quaranta nuovi serial killer ogni decennio», scrive Vronsky. «Ma dopo il 1960, il numero per decennio è diventato virale». Si passa dai 51 del decennio 1950-60 ai 692 del decennio 1980-90. Altri studiosi concordano sulle date e qualcuno sostiene che tutto ciò sia dovuto all’assenza della figura paterna: i killer erano per lo più maschi cresciuti, a causa della guerra, senza padri o con padri violenti o molto problematici. Un male della modernità, appunto. Mostri con tare umane, troppo umane. L’America rurale ha prodotto Ed Gein, mentecatto squartatore. La California metropolitana ha avuto il suo implacabile e imprendibile Zodiac. Quanto a noi, abbiamo romanzi, film e serie a intrappolarci. Segno che dopo tutto l’incubo della modernità ci è fin troppo famigliare.