Si va verso “l’era dei due Dalai Lama” (degli esuli e di Pechino). L’esperto: “La Cina vuole la religione regolata dallo Stato”

  • Postato il 27 giugno 2025
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Mentre il 6 luglio Tenzin Gyatso si accinge a festeggiare i suoi 90 anni, il dilemma della successione torna al centro del dibattito. Tutto lascia pensare a un futuro con due Dalai Lama: uno fedele alla Cina e uno riconosciuto dalla comunità tibetana in esilio. Il passaggio delle consegne comporterà una minore visibilità del buddhismo all’estero, dove Tenzin Gyatso viene considerato un simbolo della resistenza tibetana fin dagli anni ’50? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto a Robert Barnett, docente presso la School of Oriental and African Studies di Londra e tra i massimi esperti di Tibet.

Il Dalai Lama ha avanzato varie possibilità per eludere il controllo di Pechino, persino di non reincarnarsi. Cosa dobbiamo attenderci?
Il 2 luglio Tenzin Gyatso terrà un discorso in cui chiarirà tre punti. Confermerà di aver ricevuto numerose richieste dai suoi seguaci affinché continui la pratica della reincarnazione, ribadirà che non si reincarnerà in Tibet o in Cina, a meno che non venga raggiunto un accordo con Pechino prima della sua morte, ma il governo cinese ha già dichiarato “illegale” ogni reincarnazione all’estero, e indicherà che il suo successore sarà scelto secondo i rituali tradizionali (divinazione, individuazione di un bambino con qualità speciali) e che quindi non utilizzerà metodi alternativi, come la nomina anticipata di un successore ventilata nel 2011. Tutto questo implica che dopo la sua morte ci sarà un periodo di transizione di diversi anni senza un Dalai Lama in carica, con conseguenze importanti soprattutto per la comunità tibetana in esilio.

Nel 1995 il governo cinese ha rapito il bambino prescelto dal Dalai Lama per ricoprire la posizione di Panchen Lama, la seconda carica del buddhismo tibetano, imponendo un sostituto fedele al partito. La mancanza di un Panchen Lama legittimo comprometterà la successione?
Non ci sono regole o regolamenti fissi che governano le pratiche religiose come il riconoscimento dei lama. Piuttosto si tratta di un’usanza esoterica che dipende dalle interpretazioni e dalle decisioni prese da lama stimati. La Cina sta cercando di trasformare un sistema di credenze basato su consuetudini altamente flessibili in un sistema legale basato su leggi e regolamenti fissi. Una normativa approvata nel 2007 non regola solo come un lama debba essere riconosciuto, ma anche se possa o meno reincarnarsi e dove. La logica di Pechino sembra essere che se la religione è governata da un insieme di leggi fisse, allora deve esserci un’autorità superiore che stabilisce tali leggi. Ovvero lo Stato.

Come reagirà Pechino alle dichiarazioni del Dalai Lama?
Si prevede una reazione fortemente ostile. Secondo fonti interne, Pechino considera il messaggio del Dalai Lama come una provocazione grave e probabilmente risponderà condannando duramente ogni annuncio. Verranno inoltre intensificate le misure di sicurezza in Tibet, con limitazioni alla circolazione, alla comunicazione e alla libertà religiosa.

Prevede che il Dalai Lama cercherà di avviare trattative con la Cina?
È improbabile. Anche se circolano da tempo voci su “canali paralleli” di dialogo tra il Dalai Lama e Pechino, sembra che questo tema non sarà affrontato nel messaggio ufficiale del 2 giugno. Tuttavia, se dovesse emergere un riferimento, sarebbe un segnale di grande rilevanza politica, perché potrebbe indicare la fine o la ripresa di questi tentativi di mediazione (i colloqui diretti tra governo tibetano e cinese sono stati interrotti nel 2010, ndr).

C’è un’altra figura importante nel buddhismo tibetano: il Karmapa. Potrebbe avere un ruolo nella reincarnazione, magari nel periodo di transizione dopo l’identificazione del successore?
In teoria, il Karmapa avrebbe potuto rappresentare un candidato nella successione del Dalai Lama, ma oggi questa possibilità è quasi completamente esclusa. Le ragioni sono complesse e si intrecciano con politiche interne, rivalità religiose e motivazioni personali.

Pensa che, dopo la morte del Dalai Lama, cambierà il modo in cui il buddhismo tibetano verrà percepito a livello internazionale?
È probabile. L’immagine del buddhismo tibetano nel mondo occidentale è fortemente legata alla figura carismatica di Tenzin Gyatso. La sua storia personale – dall’invasione del Tibet da parte della Cina alla sua vita in esilio – ha suscitato grande empatia e solidarietà. Il XIV Dalai Lama ha rappresentato un’eccezione: una figura unificatrice e politica, che ha collegato la pratica spirituale all’impegno per il Tibet. Questo è un approccio raro, che ha iniziato a emergere solo negli anni ’80. Dopo di lui, è prevedibile che l’occidente torni a un modello più individualista e apolitico, simile a quello degli anni ’60–’70. I praticanti torneranno a seguire i propri maestri spirituali, senza un forte coinvolgimento nelle questioni tibetane. Tuttavia, va detto che esiste anche un pubblico “non buddhista” interessato alla causa tibetana da un punto di vista politico. Questo pubblico non sarà influenzato dal cambiamento.

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