Siamo tutti ostaggi di Maurizio Ladini
- Postato il 19 ottobre 2025
- Di Panorama
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La maglietta della salute è un vezzo che si trascina dietro da quando era apprendista saldatore. Ma adesso non basta più. Un incandescente autunno incombe. Le ribalde sigle concorrenti incendiano. L’agonizzante sinistra continua a boccheggiare. E Maurizio Landini decide di indossare la kefiah. I salari languono? I contratti attendono? Dettagli. Prima la pace, poi il pane. Eventualmente. Mobilitazioni selvagge e scioperi generali contro «il genocidio del governo israeliano», dunque. Il leader della Cgil sembra inarrestabile. L’ennesima mega manifestazione per la Palestina è prevista il 23 ottobre 2025. La classe operaia non porta più in paradiso. Servono baldi giovanotti e fieri immigrati, menti idealiste e gente grintosa. Perché non sono soltanto le piazze a essere piene, ma pure le fabbriche. Nonostante i trionfalismi, le ultime adesioni sembrano scarsine. Il venerdì, certo, invogliava. Ma perdere un giorno di salario per sostenere il viaggio della Flotilla non ha sufficientemente motivato gli iscritti.
Corso Italia chiama, Gaza risponde? Improbabile. La Cgil è l’unico sindacato europeo che vuole bloccare tutto per lo scontro in Medio Oriente. Il solo nesso tra lavoratori e conflitto sarebbe la supposta «economia di guerra» che affama il popolo: assunto deboluccio, in effetti. Mentre il mullah Maurizio si copre il volto, cade così la maschera. Altro che stipendi e picchetti. Roba frusta. Liturgie ritrite. Vuoi mettere con un conflitto planetario? Ennesima occasione, tra l’altro, per imputare al governo le più inumane atrocità. Israele prepara il blocco navale e l’Italia cincischia? Non invia neppure una fregata tricolore nelle acque di Gaza? È solo l’ultimo pretesto, ovviamente.
Referendum flop e rivincita nelle piazze
Lo sfortunato referendum su Jobs act e cittadinanza pare sia stato illuminante. «Il nostro traguardo è raggiungere il quorum: significa mobilitare almeno 25 milioni di elettori» spiega Landini lo scorso maggio. Un mese dopo, però, vanno a votare 14 milioni di persone: appena il trenta per cento dei cittadini. Il segretario, in ogni caso, non arretra: «Questi voti saranno un nuovo inizio». Eccoci qui, dunque. Il partito della Cgil ritenta l’impresa: sobillare gli animi e rovesciare il governo. E dietro il pifferaio rosso, come sempre, si accoda tutta la sinistra. Stavolta, nel nome del popolo palestinese. Allah Akbar.
Povera Elly Schlein, segretaria piddina in bambola. E povero Giuseppe Conte, reduce da un altro sganassone elettorale, stavolta in Calabria. Fingono concordia, ma ognuno pensa per sé. Sperano di sfidare Giorgia Meloni alle prossime elezioni. Imbastiscono fallimentari strategie. Intanto il mullah Maurizio inanella proteste e cortei contro Palazzo Chigi, costringendo i tapini del campo largo a rincorrere. «Un uomo solo al comando» ritmerebbe Mario Ferretti, in un’eventuale telecronaca politica. Lui: il velocista in fuga. E gli altri: i passisti della domenica.
Scontri, accuse e battaglie personali
Lotta dura e senza paura, quindi. Ma il 3 ottobre in piazza c’erano pure incappucciati, maranza e cani sciolti. Scontri con la polizia, slogan antisemiti, inni ad Hamas. Landini prende le distanze da «violenti e cretini». Le enormità sparate contro l’esecutivo, però, non aiutano. Perfino il mite ministro dell’Interno Matteo Piantedosi spiega: «È guerra politica contro il governo. La Cgil fomenta la rivolta sociale». Già annunciata dallo stesso segretario a novembre 2024, tra l’altro. A Palazzo Chigi ne sono convinti: è una battaglia personale, più che unitaria. La premier, Giorgia Meloni, dice: «Molti cercano la contrapposizione per interesse». E il leader della Lega, Matteo Salvini, preconizza: «Prepara il suo arrivo in Parlamento».
Nella sua vanagloriosa autobiografia, Un’altra storia, Landini scrive: «Io non ho bisogno di entrare in politica». In effetti, lui è già la politica. Titolo profetico, comunque. Non si accontenterebbe certo di una poltroncina in Parlamento, com’è capitato ai suoi predecessori arruolati dal Pd: Sergio Cofferati, Guglielmo Epifani o Susanna Camusso. È stato riconfermato a marzo 2023, per quattro anni. Il suo mandato scadrà qualche mese prima delle elezioni, quindi. Tempistica perfetta. Schlein freme per sfidare Meloni. Come Conte, del resto. Lei lo tampina: «Sono testardamente unitaria». Lui la evita: «Non siamo alleati». L’unica convergenza resta sulle tonitruanti iniziative della Cgil. Tra i due litiganti, la spunterà il furibondo Landini?
Corsa a sinistra e guerra tra sigle
Bisogna essere onesti, però. Stavolta non contano solo le sfrenate ambizioni personali. Quest’autunno caldissimo serve anche a tentare di inseguire gli arcigni sindacati di base. Quelli che contendono alla Cgil piazze e iscritti. I Cobas, attivissimi nella logistica, hanno indetto il riuscitissimo sciopero generale pro Pal del 22 settembre scorso, tre giorni dopo un disastroso e analogo tentativo di Landini. Sarebbe stato proprio questo il motivo che l’ha spinto a correre ai ripari, proclamando un’altra mobilitazione per Gaza senza i necessari dieci giorni di preavviso. Tanto da essere considerata illegittima dall’apposita Commissione di garanzia. L’Usb, invece, si intesta una protesta dopo l’altra nei trasporti: treni, bus, aeroporti. Quelli che continuano a paralizzare l’Italia. Possibilmente il venerdì. La premier, difatti, maramaldeggia: «Weekend lungo e rivoluzione non stanno bene insieme».
Insomma, urge sorpasso a sinistra. La maglietta intima che sbuca dalla camicia non è più abbastanza. A Landini serve la kefiah. Per veleggiare assieme alla Flotilla, ignorata praticamente ovunque. In Spagna, che vanta il governo più a sinistra del continente, ci sono state solo isolate manifestazioni spontanee. Nessun sindacato, altrove, ha deciso di fermare un Paese per sostenere le imbarcazioni che volevano rompere il blocco navale israeliano. Persino Matteo Renzi, ormai solido alleato di Elly, ironizza: «In dieci giorni ci sono stati due scioperi sulla Flotilla. Prima o poi, mi auguro che vengano organizzati anche su stipendi, pensioni, bollette e liste d’attesa nella sanità». Già. Non è che sul resto si lesini, comunque. Ne sono stati proclamati 1.603 soltanto l’anno scorso: 981 revocati, 622 invece no. Cinquantuno mobilitazioni al mese: un po’ più di una e mezzo al giorno. Secondo Conflavoro, ci hanno fatto perdere almeno cinque miliardi. E nel 2025 il saldo sarà ancora peggiore.
Tra record e abbracci scomodi
Record indiscussi. Da Guinness dei primati. Altro che quelle mammolette di Elly e Giuseppi. Ci pensa il mullah Maurizio. Giorgia, d’altronde, è un pericolo pubblico. La democrazia rischia. Ah, com’erano invece idilliaci i tempi in cui il torvo filava d’amore e d’accordo con il governo. Lo sguardo severo tracimava ammirazione. Proprio con Conte ci fu l’abbraccio più appassionato, durante un congresso a Lecce nel settembre 2019. Già allora si confrontavano su tutto. E su tutto tubavano: «D’accordissimo», «molto d’accordo», «apprezzo», «condivido». C’era intesa perfino sul fantomatico e vago taglio al cuneo fiscale, quello poi introdotto da Draghi e che adesso invece aborre: ci vuole la patrimoniale, altroché. Già, anche l’ex presidente della Bce s’era guadagnato il suo affettuoso abbraccio. Tempi strepitosi, quelli: l’Italia correva, gli operai scialavano, i premier le azzeccavano tutte. Poi, d’un tratto, calano le tenebre. A Palazzo Chigi arriva Meloni. Dopo il governo giuseppino e quello dei migliori, l’Italia si trasforma in un postaccio: incidenti sul lavoro, salari da fame, libertà a rischio, concertazione bandita, manovra inadeguata, militarismo ottuso, autonomia deleteria, autoritarismo selvaggio. «La Cgil è più interessata a difendere la sinistra che i lavoratori» dice Meloni. «Nei dieci anni in cui la sinistra era al governo ha indetto sei scioperi. In questi tre ne ha già proclamati quattro». E il meglio deve ancora venire.
Gli iscritti cambiano volto
Le piazze non servono solo a fronteggiare il centrodestra, ma pure a mantenere vivo il presunto mito dell’invincibilità. Secondo la sigla antagonista Cgl, nell’ultimo anno più di 50 mila lavoratori hanno invece abbandonato la “casa madre” landiniana. Nel 2024, secondo gli autocertificati dati ufficiali, il numero degli iscritti sembrava stabile: poco più di cinque milioni. Con un dettaglio fondamentale, però: diminuiscono i pensionati e crescono giovani e immigrati. Non a caso, i più partecipi alle sofferenze del popolo palestinese. Nelle università così continua a spadroneggiare l’Udu, che si definisce «il principale sindacato studentesco italiano». Insomma, restano i più votati negli atenei. Okkupazioni, propaganda, collettivi. Ogni anno, come si legge nei bilanci, la Cgil concede all’organizzazione sia le sue sedi, sia un generoso contributo di 130 mila euro. Una comunanza che ha spinto tanti risoluti virgulti dell’Udu a prendere pure la tessera del sindacato: erano quasi diecimila lo scorso anno. E poi aumentano i lavoratori stranieri, appunto. Quelli che vengono da Paesi non europei rappresentano ormai il 14 per cento degli iscritti. Sono soprattutto islamici.
È anche per loro che Landini ha deciso di indossare la kefiah. Con un occhio rivolto alla ciurma cigiellina in subbuglio. E l’altro al naufragio della flotilla progressista.