Siamo tutti superstiziosi ma dirlo ci fa vergognare
- Postato il 17 luglio 2025
- Di Panorama
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Saremo pure nell’era del digitale, ma alzare l’indice e il mignolo per esorcizzare una sciagura, un malaugurio, un evento infausto, è ancora una pratica vigente nel nostro Paese, pur così scettico, ironico e tecnologico. Fare le corna è un rito scaramantico in uso, seppure travestito d’ironia. C’è un piccolo universo parallelo che scorre ancora a fianco e dentro di noi e che chiamiamo superstizione. Se ne sono occupati di recente Elisabetta Moro e Marino Niola in un volumetto uscito da Einaudi: Gatti neri e specchi rotti. Perché siamo superstiziosi.
Di quel piccolo mondo il sovrano indiscusso è lo iettatore, figura favolosa, semiclandestina ma immancabile nei Paesi e nei rioni del Sud di un tempo, che suscita timore, ribrezzo e ironia. Contrariamente a quel che si pensa, la iettatura non è la stessa cosa del malocchio e delle relative magie e fatture. Queste derivano da un fondo arcaico, magico, precristiano, in auge soprattutto ma non solo a Sud, che attraversa la fede e l’accompagna come la sua ombra. La iettatura, invece, è un mix tra modernità, magia e ironia, fascinazioni antiche e recenti. Non a caso la parola iettatura nasce a Napoli nel secolo dell’Illuminismo, il Settecento, anche se aveva infausti precursori nei secoli passati. Il malocchio è popolare, attiene al mondo arcaico, contadino, pastorale, marinaro, è un’invidia in azione, volta a produrre malevoli frutti, tramite fatture e pratiche rituali; la iettatura, invece, è più in uso nei ceti borghesi e benestanti, ha perfino un’insospettabile matrice illuminista e salottiera, che discende nei ceti urbani, tra artigiani e popolani. È un “sottoprodotto” pseudo-razionalista di quel pensiero magico che attraversò il Cinquecento, e si espresse anche attraverso filosofi come il calabrese Pietro Campanella e il campano Giordano Bruno. I trattati sulla iettatura si presentano a volte come poemi comici o “cicalate”, come quella famosa di Nicola Valletta, percorrono sempre la linea tra il serio e il faceto, più che tra il sacro e il profano. Si addentrano in una gustosa aneddotica, ammantata di trattato scientifico, evocano storie deviate dalla iettatura e dal timore di essa; narrano di figure illustri e talvolta regnanti meridionali vittime dei sortilegi iettatori, fino alla morte. In Sud e magia Ernesto De Martino ritiene che «l’ideologia napoletana della iettatura» nasca dal compromesso «fra l’antica fascinazione e il razionalismo del Settecento».
Su quella linea restano tracce importanti fin nel Novecento: dal “non è vero ma ci credo” a cui aderisce perfino un filosofo profondamente disincantato ma profondamente “napoletano” come Benedetto Croce; fino all’ironia letteraria del siciliano Luigi Pirandello con la sua gustosa novella La patente, in cui lo iettatore cerca di trasformare, come suol dirsi, la sua cattiva fama da uno svantaggio in una risorsa, e pretende il riconoscimento giuridico del suo status di menagramo (magnificamente tradotto in teatro con Angelo Musco e poi interpretato al cinema da Totò).
E tuttavia, a Sud, e non solo a Sud, la fama di iettatore, pur così vaga e ineffabile, ha rovinato esistenze, ha isolato e compromesso vite, famiglie e carriere, a volte portando fino al suicidio. C’è un paradigma dello iettatore, una specie di foto segnaletica per identificarlo anche quando non ne conosciamo i malefici effetti: «Lo iettatore», così lo descrive Dumas nel suo Corricolo, «è di solito magro e pallido, il naso ricurvo, occhi grandi che hanno qualcosa di quelli del rospo, e ch’egli di solito copre, per dissimularli, con un paio di occhiali. Lenti scure, naturalmente; il rospo è un animale che si ritiene portatore di iettatura; che iettando, cioè gettando il suo sguardo malefico dai suoi occhi prominenti, esoftalmici, uccide l’usignolo che è sul ramo». Un caso malefico di “telepatia” o di “videocidio”. Per Dumas la vita magico-religiosa di Napoli scorreva tra due poli: la devozione a san Gennaro e la iettatura, il santo e il demonio (o meglio la sua vittima) in versione partenopea. Intorno allo iettatore si creava uno spontaneo cordone sanitario, con forte ricaduta sociale.
La credenza nella iettatura ha qualcosa di virale, contagia non solo il Sud intero, partendo da Napoli; ma alla fine coinvolge pure chi viene da fuori. «Quando un forestiero arriva a Napoli comincia col ridere della iettatura, poi a poco a poco se ne preoccupa e infine, dopo tre mesi di soggiorno, lo vedete coperto di corni e con la mano destra eternamente contratta», scrive Meyer citato da De Martino. Peraltro, cos’è il carisma di cui sarebbero dotate alcune personalità eminenti, con vocazioni al ruolo di capi, di guide, di maestri, se non il rovescio positivo di quel magnetismo, di quell’aura che si attribuisce in negativo allo iettatore? Magari anche il teorico del disincanto, Max Weber, aveva subito qualche fascinazione quando scriveva del capo carismatico… Dobbiamo solo alzare le spalle e poi scrollarcele in segno di estraneità e rifiuto di questi residui superstiziosi che ancora sopravvivono nella nostra società, o dobbiamo piuttosto cercare di capire da dove nasce questo bisogno di credere e di collegamenti magici tra fatti, persone e riti? Diceva Vico che la superstizione non è un male in sé o una follia ma è quel che resta (è superstite, appunto) di antiche credenze e di antichi legami con il cosmo. E poggiando sull’autorità di Plutarco, diceva che si conoscono civiltà che hanno retto per secoli sulla superstizione, mentre non sono mai esistite civiltà compiutamente atee. Insomma, vedetela di buon occhio.