Simon The Sorcerer: Origins, l’intervista a Massimiliano Calamai- Founder e Game Director di Smallthing Studios

  • Postato il 3 novembre 2025
  • Tecnologia
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 2 Visualizzazioni

Dopo anni di silenzio, Simon the Sorcerer torna a incantare i giocatori con Origins, un prequel che riporta in vita una delle saghe più amate dell’epoca d’oro delle avventure punta e clicca. Dietro al progetto c’è Smallthing Studios, team italiano che ha scelto di affrontare una sfida complessa: rispettare un’eredità storica senza restare prigionieri della nostalgia.
Abbiamo parlato con Massimiliano Calamai, Founder, Game Director e Designer dello studio, per approfondire la visione dietro questo ritorno, le difficoltà di reinterpretare un’icona degli anni ’90 e le emozioni che Simon the Sorcerer: Origins intende trasmettere ai giocatori di oggi.

Durante la pre-produzione avete dichiarato di aver studiato a fondo gli originali per catturarne lo spirito. Qual è invece un aspetto del vecchio Simon the Sorcerer che avete deciso consapevolmente di non riprendere, anche se amato dai fan, perché avrebbe limitato il linguaggio o il ritmo di un gioco moderno?
Fondamentalmente ci sono stati due grandi aspetti che abbiamo dovuto rivedere, per una necessità dovuta al gap di trent’anni. Il primo, ovviamente, è il linguaggio.

fotografia di Massimiliano Calamai
Massimiliano Calamai, fondatore Smallthing Studio

Il Simon degli anni ’90 aveva un modo di esprimersi adatto all’epoca: era molto più irriverente e acido del nostro. Oggi non avrebbe funzionato nello stesso modo, sarebbe risultato fuori luogo. Abbiamo quindi scelto di modificarlo profondamente, mantenendo però intatto lo spirito originale – quella stessa natura di irriverenza, ma più profonda, che nasce dal carattere del personaggio, da una forma di ribellione, piuttosto che da un atteggiamento forzatamente provocatorio.

L’altro aspetto è stato il gameplay. Volevamo un’esperienza moderna, adatta a un pubblico più ampio e capace di parlare la lingua del 2025. Abbiamo quindi revisionato tutta la struttura, mantenendo il genere adventure ma rendendolo molto più snello, dove a dominare è la storia e non l’interfaccia.

Il giovane Simon di Origins è ancora lontano dal mago sfrontato e cinico che conosciamo. Qual è stata la sfida più difficile nel rappresentare la sua ingenuità senza renderlo banale o caricaturale? C’è un momento del gioco in cui avete sentito di aver davvero centrato il suo tono?
In realtà il nostro Simon è molto più vicino al vecchio di quanto si possa pensare. Il Simon originale era, in fondo, un modo per raccontare adolescenti ribelli verso la propria famiglia – e gli sviluppatori dell’epoca lo fecero con i mezzi linguistici e tecnici che avevano.

Noi abbiamo approfondito moltissimo questo aspetto: il nostro Simon è un adolescente che vuole dimostrare di valere, di trovare il proprio posto nel mondo, e lo farà a modo suo. Ci siamo concentrati su questa tematica, rendendolo estremamente fedele allo spirito del passato, ma più complesso e sfaccettato.

Le avventure punta e clicca hanno sempre avuto una forte dimensione testuale. Avete mai sperimentato, anche solo internamente, approcci più visivi o cinematografici per dare ritmo alla narrazione? E, se sì, quali avete deciso di mantenere?
Assolutamente sì, anche se non partendo dal passato, ma cercando un mash-up tra gli anni ’90 e l’attualità.

Volevamo un comparto visivo che rendesse omaggio all’epoca, ma senza ricorrere alla pixel art. Abbiamo optato per uno stile cartoon, come se fosse disegnato oggi. Questo ci ha permesso di valorizzare moltissimo la parte recitativa: Simon è, in fondo, un racconto in cui gli aspetti teatrali e comportamentali del personaggio – le espressioni, i gesti, i modi di fare – diventano parte integrante della narrazione e persino dei puzzle. È un titolo fortemente basato sulla cinematografia.

Lavorare con un’IP storica come Simon the Sorcerer comporta inevitabilmente vincoli, licenze, approvazioni e aspettative. C’è stato un momento in cui vi siete sentiti bloccati dal peso del passato? E come siete riusciti a trasformarlo in una risorsa creativa invece che in un limite?
No, non ci siamo mai sentiti bloccati. È stato un onore ottenere la licenza: il processo è stato complesso, perché coinvolgeva molte proprietà intellettuali e diversi soggetti.

Personalmente volevo riportare figure come Chris Barrie ed Erik Borner (i voice actor originali della saga) e ottenere musiche d’impatto che rispettassero il livello del titolo originale. In realtà, tutto questo non è stato un ostacolo, ma uno stimolo: ci ha spinto a riunire elementi e persone del passato per creare un gioco forte e coerente con gli obiettivi che ci eravamo posti.

Siamo arrivati al 2025 con i risultati che avevamo immaginato già nel 2020.

Spesso nei giochi d’avventura il tono ironico serve a mascherare temi più cupi o malinconici. Avete esplorato anche lati più seri o introspettivi della storia, magari legati al senso di appartenenza o al passaggio all’età adulta di Simon?
In realtà Simon non è ancora adulto, perché Origins è un prequel ambientato poche settimane prima del primo capitolo del 1993. È lo stesso Simon, solo leggermente più giovane.

Abbiamo però approfondito molto il suo lato umano: tutta l’avventura nasconde una velata nostalgia e la volontà di questo ragazzo, pieno di problemi, di sentirsi parte di un gruppo, della società, di essere qualcuno di valore.

È una dimensione “vellutata”, nascosta sotto la superficie ironica del gioco, che emerge attraverso i suoi modi irriverenti: una forma di reazione tipica degli adolescenti, che spesso si mostrano rabbiosi per nascondere fragilità più profonde. Tutta la storia ruota attorno a questo, al rapporto – prima vicino, poi distante – tra un figlio e sua madre.

Negli ultimi anni molti giochi narrativi hanno cercato di adattarsi ai social e agli streamer, con puzzle più brevi e un ritmo più veloce. In Origins avete mai discusso internamente di come rendere il gioco “streamer-friendly” o avete scelto consapevolmente di restare fedeli alla lentezza contemplativa del genere?
No, abbiamo realizzato esattamente il gioco che volevamo, senza nessuna influenza esterna.

Anzi, seguire le tendenze ci avrebbe portato verso scelte stilistiche e ritmiche molto diverse. Noi avevamo un’idea chiara di cosa volessimo ottenere e di dove posizionare il gameplay: un titolo che onorasse il passato ma si presentasse in modo moderno e coerente con il 2025.

Abbiamo lavorato in modo molto concentrato, senza lasciarci condizionare da ciò che facevano gli altri, neanche dai titoli più blasonati.

Se doveste definire con una sola parola ciò che Simon the Sorcerer: Origins aggiunge all’eredità della saga, quale sarebbe e perché?
“Emozioni.”

È un titolo letteralmente emozionante: si passa da momenti esilaranti, in cui si ride di gusto – a volte anche in modo inaspettato, grazie alla rottura della quarta parete o alle battute di Simon – a momenti profondi, che commuovono.

Il finale, in particolare, è molto importante: chiude un cerchio narrativo e abbraccia una gamma di emozioni tipiche dell’adolescenza, vissute con intensità estrema – rabbia, passione, malinconia. Abbiamo cercato di trasportare tutto questo nella storia di Simon.

L'articolo Simon The Sorcerer: Origins, l’intervista a Massimiliano Calamai- Founder e Game Director di Smallthing Studios proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti