Sono passati 50 anni, ma la sinistra ha ancora paura di Sergio Ramelli

  • Postato il 29 aprile 2025
  • Di Panorama
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Il 29 aprile 1975 (50 anni fa) il militante del Fronte della Gioventù Sergio Ramelli fu aggredito e ucciso da un gruppo di Avanguardia operaia . Un evento che ha ripercussioni ancora oggi. Con la scusa della lotta all’odio, il polo di sinistra e i suoi rappresentanti, si sentono liberi di odiare chiunque. Nascondendosi dietro la difesa della memoria, cancellano o infangano le memorie a loro sgradite. Compresa quella di un ragazzo ammazzato a colpi di chiave inglese cinquant’anni fa per aver osato scrivere un tema critico verso le Brigate Rosse e l’estremismo rosso che le spalleggiava.

Sergio Ramelli è morto il 29 aprile del 1975, dopo giorni di agonia a seguito dell’agguato di un commando di attivisti di sinistra che nemmeno lo conosceva. Aveva appena diciotto anni, e avevano deciso che fosse un fascista da punire. Dopo mesi di persecuzioni e aggressioni, alla fine lo assaltarono vigliaccamente in gruppo e gli spaccarono la testa. La sua vicenda agghiacciante è stata meditata non soltanto dalla destra che lo celebra quale martire delle idee, ma pure da alcuni intellettuali illuminati provenienti da un altro retroterra culturale. Libri come quelli di Giuseppe Culicchia e Pino Casamassima restituiscono dignità a Sergio, riflettono sul clima allucinante che ammorbava gli anni di piombo e attribuiscono le giuste responsabilità a chi deve portarle.

Ma a quanto pare la sinistra italica questa elaborazione onesta non è in grado di farla, nemmeno dopo mezzo secolo. Anzi, continua a mistificare, sminuire, quasi giustificare. Lo dimostra quanto accade nei dintorni di Milano. Precisamente il 28 aprile a Sesto San Giovanni e il 29 a Cinisello Balsamo. Proprio nei giorni del cinquantesimo anniversario di Ramelli, la sinistra tutta ha organizzato due presidi con lo slogan «Nessuno spazio per l’odio». Che cosa significhi questa frase in realtà è chiaro: poiché gli odiatori per antonomasia sono i fascisti, è giusto odiarli e togliere loro ogni spazio, ogni visibilità e agibilità politici. In pratica, chiunque non si riconosca nei valori del progressismo deve essere emarginato e silenziato. O rimosso dalla storia.

Il caso Ramelli nel dibattito politico attuale

«In questi giorni vicini al 25 aprile, a ottant’anni dalla Liberazione dal nazifascismo, è fondamentale ricordare e valorizzare la memoria, il sacrificio e le idee e i principi di chi si oppose al fascismo sin dalla sua nascita, pagando con la prigione, l’esilio, la deportazione e la morte la scelta di non piegarsi al regime dittatoriale», si legge nel documento politico con cui i presidi sono stati convocati.

«Assistiamo oggi in Italia una pericolosa strategia che sembra rinnegare, sul piano sia politico che culturale, il nostro passato. Da un lato, provvedimenti liberticidi, come il dl Sicurezza, che riduce in modo pericoloso gli spazi di manifestazione e di dissenso, o che spaccano il Paese, come l’autonomia differenziata. Dall’altro, un pericoloso fenomeno di revisionismo storico che sminuisce la ferocia del nazifascismo e denigra i partigiani, alimentando contrapposizioni e allontanandoci da una memoria condivisa.
Lo si fa leggendo in Parlamento il manifesto di Ventotene fuori dal contesto in cui nacque, lo si fa anche sul piano locale, come a Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo, dove le giunte di destra usano ai fini politici la morte di un ragazzo ergendolo a simbolo di un passato in cui le colpe sembrano risiedere solo in una parte politica, dimenticando che quelli erano anche gli anni degli attentati neofascisti (su cui non si spende una sola parola) e che ci furono altri ragazzi vittime della destra fascista.
Invece di ricordare tutti i morti e di lavorare per unire, si sceglie di dividere le nostre comunità.
[…] A partire dal 1969, la strategia della tensione, lo stragismo ed il terrorismo misero a rischio le conquiste democratiche, non riuscendo a prevalere.
La ripresa odierna di varie forme di fascismo si innesta in una Italia spaesata, dove l’idea dell’uomo forte torna a farsi avanti. È nostro compito urgente invertire questa deriva nella consapevolezza che, pur nelle difficoltà, la nostra comunità possiede gli anticorpi e le energie per far fronte a questa sfida».

Ramelli viene evocato, ma con il solito coraggio non è chiamato per nome. Le commemorazioni a lui dedicate vengono presentate come «revisionismo», come tentativo fascista di riscrivere la storia. Non solo. Il documento richiama la strategia della tensione e gli «attentati neofascisti», quasi a suggerire che l’omicidio di un ragazzo di diciotto anni vada contestualizzato, in fondo almeno un po’ giustificato perché erano tempi brutti e i fascisti imperversavano. Non una parola di condanna, di rimpianto o presa di distanza. Non un briciolo di pietà umana nemmeno dopo mezzo secolo.

Viene da chiedersi: ma chi può diffondere oggi robaccia di questo genere? Forse qualche gruppo extraparlamentare fuori dal tempo e dalla grazia divina? Niente affatto. Il manifesto del presidio «contro l’odio» (ma che odia eccome) è decorato dai loghi di: Anpi, Partito Democratico, Italia Viva, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, Cgil, Emergency e altre realtà più o meno locali. Ci sono tutti, insomma, e di fatto manifestano contro il ricordo di Ramelli, sminuiscono la gravità dell’omicidio.

Accade qualcosa di simile anche a Carate Brianza, provincia di Monza. Fratelli d’Italia chiede di dedicare una via a Ramelli e di organizzare pubbliche commemorazioni, e l’Anpi (per ora in solitudine, ma siamo sicuri che il soccorso rosso arriverà) si affretta a fare opposizione.

«Sergio Ramelli era uno studente di 18 anni, militante del Fronte della Gioventù, quando venne assassinato nel 1975 da alcuni militanti di Avanguardia Operaia, poi condannati per omicidio preterintenzionale», dicono i partigiani, anche qui senza mezza parola commossa. Poi di nuovo la contestualizzazione, la giustificazione:
«Erano gli anni della strategia della tensione, delle stragi volte a sovvertire l’Italia democratica, della violenza politica che culminò con numerosi omicidi compiuti da fazioni politiche opposte».

Ecco come agiscono, anche cinquant’anni dopo. Rimescolano le carte, tirano in ballo l’inesistente fascismo di ritorno e il dl Sicurezza, cianciano di odio e discriminazioni. E intanto contestano il ricordo di un giovane ammazzato dai compagni perché di destra.
Ecco chi sono davvero i sedicenti buoni: quella dell’astio politico, ancora adesso, è la loro vera faccia.

Autore
Panorama

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