Spari contro Miguel Uribe, candidato alle presidenziali in Colombia: è grave

  • Postato il 8 giugno 2025
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Miguel Uribe Turbay, senatore colombiano di destra di 39 anni, pre-candidato alle presidenziali del 2026 lotta tra la vita e la morte dopo essere stato vittima di un attentato. Uribe è ricoverato in prognosi riservata ed è stato sottoposto a un “intervento neurochirurgico e vascolare periferico di alta complessità”, ha spiegato la Fundación Santa Fe, la struttura ospedaliera di Bogotà nella quale si trova ricoverato da sabato sera, dopo essere stato gravemente ferito con un colpo d’arma da fuoco alla testa. L’attentato è avvenuto a Bogotà, nel parco El Golfito del quartiere Modelia. Lì Uribe Turbay teneva un comizio, improvvisamente interrotto dai colpi di pistola di un sicario di soli 15 anni. Nel giro di pochi minuti l’attentatore – la cui identità non è stata rivelata – è stato fermato dalla polizia. Era ferito alla gamba, e zoppicava in uno dei vicoli adiacenti al parco.

Vita in bilico e una taglia
Leggendo gli accertamenti, il senatore avrebbe subito “un trauma penetrante nel cranio, con perdita di struttura ossea nella zona parietale sinistra”. La tomografia ha anche rilevato la presenza “corpi estranei”, “compatibili con frammenti di proiettile”. Ergo: qualora l’intervento andasse a buon fine, servirebbe tempo per il pieno recupero delle funzioni neurologiche del senatore. Nel frattempo il ministro della Difesa colombiano Pedro Sánchez offre una ricompensa di quasi 730mila dollari a chiunque fornisca informazioni che agevolino la cattura dei responsabili dell’attentato. Si indaga anche sui membri della guardia del corpo, sul banco degli imputati per presunti errori nel protocollo di sicurezza. Ad accompagnarlo in nelle ore drammatiche c’era anche la giornalista Vicky Davila, anche lei pre-candidata alle presidenziali per la destra colombiana. “Siamo speranzosi, Miguel supererà questa difficile situazione”, ha scritto sul social X invitando i colombiani a “restare più uniti che mai”.

Linguaggio d’odio
Non è mancata la vicinanza del presidente colombiano uscente Gustavo Petro, il principale bersaglio politico nella campagna del senatore. “La mia solidarietà alla famiglia Uribe e Turbay. Non saprei come mitigare il vostro dolore”, ha scritto Petro sulla sua pagina Facebook. “È una giornata di dolore”, ha ribadito il capo di Stato assicurando il pieno supporto di Bogotà per fare chiarezza sulla vicenda. Ma le sue parole non bastano a placare gli animi di chi lo ritiene colpevole di aver promosso un linguaggio d’odio ormai fuggito di mano in Colombia. “I suoi discorsi sono offensivi e polarizzanti”, affermano i rappresentanti del Consejo gremial nacional, sottolineando che “l’odio delle parole porta alla violenza delle pallottole”. A cavalcare l’onda è stato lo stesso segretario di Stato Usa, Marco Rubio, portavoce dell’insofferenza di Washington verso Petro, per il quale l’attentato a Uribe Turbay è “una minaccia diretta alla democrazia e il risultato della retorica violenta della sinistra che proviene dai più alti livelli del governo colombiano”.

Lo scontro tra i due
A Petro viene rinfacciato il recente scontro con lo stesso Uribe Turbay, che qualche giorno prima dell’attentato, il 5 giugno, avrebbe accusato il capo di Stato di rottura istituzionale. “Il nipote di un presidente che ha ordinato la tortura di 10mila colombiani parla di rottura istituzionale?”, ha risposto Petro su X, ricordando il governo di Julio César Turbay Ayala. “Attacca con calunnie chi ha perdonato i suoi reati”, ha allora risposto Uribe Turbay sullo stesso social, ricordando a Petro le sue origini guerrigliere e assicurando che, una volta al potere, la destra metterebbe “fine all’impunità”. Petro non è quindi il primo né l’ultimo a fare uso di un linguaggio violento. Men che meno in un Paese ormai abituato alla violenza politica e che ha visto almeno cinque candidati presidenziali uccisi dal 1985 ai primi anni Novanta. Ne sono consapevoli i vicini latinoamericani – tra cui Brasile, Messico, Venezuela – e la stessa Ue che si sono limitati a esprimere una “ferma condanna” della violenza senza strumentalizzare l’accaduto.

Una lunga scia di sangue
La violenza politica plasma la biografia del senatore colombiano classe 1986, convinto detrattore del processo di pace e promotore di politiche securitarie. Sua madre, la giornalista Diana Turbay, è stata uccisa nel 1990, quando lui aveva solo quattro anni. Era stata rapita e poi ammazzata da un gruppo armato voluto da Pablo Escobar al fine di convincere l’allora presidente colombiano, Cesar Gaviria, a fermare l’estradizione dei narcos verso gli Usa. Anche suo nonno Julio César Turbay Ayala in qualità di presidente, dopo aver militarizzato il Paese, scampò un paio di attentati contro il palazzo di governo eseguiti dalla guerriglia M-19 di cui Petro faceva parte. Episodi decisivi per orientare un percorso politico iniziato a 25 anni come consigliere comunale a Bogotà e drammaticamente passato dalla corsa per la presidenza della Colombia a una lotta per la vita, che non può non riscontrare consensi.

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Il Fatto Quotidiano

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