Spread ai minimi: i mercati promuovono l’Italia, ma la produttività resta il tallone d’Achille
- Postato il 13 giugno 2025
- Di Panorama
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Uno spread così non si vedeva da tempo. Il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi è sceso a quota 91. Non succedeva dal 2010, a parte due eccezioni nel 2021 e nel 2018. Bene, per l’Italia. Ma la buona notizia arriva in un contesto macroeconomico dai contorni dualistici: la politica fiscale del governo italiano è apprezzata dai mercati, Pil e occupazione crescono, la produzione industriale mostra cenni di ripresa, ma la produttività resta il tallone d’Achille e i mercati oscillano tra euforia e panico. L’economia reale fatica ancora a trovare un passo stabile.
Perché lo spread italiano scende
Lo spread italiano ai minimi è inequivocabile segnale di una rinnovata fiducia dei mercati nei confronti del Bel Paese, nonostante il debito pubblico abbia superato i 3mila miliardi di euro. Un dato che vuol dire innanzitutto e soprattutto che i mercati stanno premiando la linea del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. La politica fiscale del governo, che guarda al Patto di Stabilità e al “modello traiano” (meno deficit, e lavoro sul debito) ha rassicurato gli investitori sulla traiettoria del debito pubblico, che il governo punta a ridurre gradualmente. E poi ci sono tre motivi, interni e internazionali, che rafforzano la posizione dell’Italia. Il primo fattore è legato agli Stati Uniti. Le politiche economiche di Donald Trump (dazi in primis) stanno creando instabilità e allontanando i capitali dagli asset americani. Questo sta generando un forte afflusso di investimenti verso l’Europa, dove i titoli di Stato vengono percepiti come più sicuri. E in questo flusso, l’Italia risulta tra i maggiori beneficiari. Il secondo motivo riguarda proprio l’attrattività dei Btp. I rendimenti offerti sono ancora elevati, ma il rischio percepito è in diminuzione. Merito, secondo Moody’s, della solidità dei conti pubblici e di un quadro politico stabile, che rende credibile il percorso di riduzione del deficit. In questo momento, il rapporto rischio/rendimento italiano è più vantaggioso rispetto a quello di altri paesi come Germania e Francia. Infine, il terzo elemento è Berlino. Se i tassi tedeschi salgono e quelli italiani calano o restano stabili, il differenziale si restringe. Ed è esattamente ciò che sta accadendo. I rendimenti dei Bund stanno salendo, complice anche il piano da mille miliardi annunciato dal cancelliere Merz per finanziare difesa e infrastrutture. E questo contribuisce ulteriormente al calo dello spread.
Cosa significa per l’Italia la discesa dello spread
Un differenziale basso è indubbiamente un vantaggio per il Tesoro: finanziarsi sui mercati costa meno, e questo alleggerisce la pressione sugli interessi da pagare ogni anno sul debito pubblico. Anche per i risparmiatori, lo spread in discesa è un bene: il prezzo dei titoli di Stato in portafoglio sale, aumentando il valore del capitale investito. Inoltre, lo spread basso ha effetti positivi anche sul mercato azionario. Con rendimenti obbligazionari più contenuti, i capitali tendono a spostarsi verso la Borsa, alla ricerca di rendimenti superiori, sostenendo così i prezzi delle azioni. E lo spread basso è un segnale di fiducia che può facilitare il credito del sistema bancario alle imprese e sostenere gli investimenti esteri. Ma la vera posta in gioco è la fiducia. Uno spread così basso indica che gli investitori credono nella solidità dell’Italia, almeno nel medio termine. Ed è anche un messaggio politico: il governo italiano viene percepito come in grado di mantenere i conti in ordine.
Spread basso ma la produttività resta una questione, storica
Mentre lo spread scende come sta l’Italia. Il Pil cresce, dello 0,3% nel primo trimestre del 2025, accelerando rispetto al tasso di crescita dello 0,1% nel periodo precedente e in linea con la prima stima, rimanendo così al di sopra delle aspettative iniziali di mercato di un tasso di crescita dello 0,2%. E le stime Istat sono di una crescita dello 0,6% nel 2025. I dati Istat mostrano che, dopo 26 mesi di cali, la produzione industriale mostra cenni di risalita (+0,3% su base annua). Nel primo trimestre del 2025, il mercato del lavoro ha registrato segnali di rafforzamento. Secondo l’Istat, il tasso di occupazione è salito al 62,7%, il livello più alto dall’avvio delle serie trimestrali nel 2004. La disoccupazione è rimasta stabile al 6,1%, mentre l’inattività è scesa al 33,1% (-0,4 punti percentuali). Gli occupati sono aumentati di 141mila unità (+0,6%) rispetto al trimestre precedente, trainati dai contratti a tempo indeterminato (+143mila) e dagli autonomi (+18mila), a fronte di un calo dei contratti a termine (-20mila). Su base annua, l’occupazione è cresciuta di 432mila unità (+1,8%), con un forte incremento dei dipendenti stabili (+4%). La disoccupazione è calata dell’11%, mentre anche gli inattivi sono diminuiti. Nonostante la crescita dell’occupazione, la produttività resta il vero nodo strutturale. È un problema storico, che oggi si traduce anche in un aumento del ricorso alla cassa integrazione proprio nel primo trimestre del 2025. Un segnale che l’aumento degli occupati non corrisponde a un pieno utilizzo della forza lavoro, né a un miglioramento dell’efficienza del sistema produttivo. In sostanza, il motore produttivo del Paese non è ancora ripartito. In più i mercati sono volatili e con segnali contrastanti: alternano rally improvvisi alimentati da aspettative sui tassi e da trimestrali migliori del previsto, a brusche correzioni legate a timori globali su inflazione, dazi americani, incertezza e instabilità geopolitica e guerre commerciali. In questo scenario incerto, i movimenti dello spread possono essere rapidi e volatili. Inoltre, parte del merito della discesa dello spread è legato alla debolezza della Germania. E Berlino è da anni il principale partner commerciale dell’Italia. Una sua stagnazione avrebbe effetti negativi sulle esportazioni italiane e, quindi, sulla nostra crescita.
In definitiva, lo spread sotto quota 91 è senza dubbio una buona notizia: segnala fiducia nell’Italia e nella politica del governo. Ma da solo non basta a garantire una ripresa sostenibile. Serve una politica industriale e una spinta agli investimenti produttivi. Altrimenti, il rischio è, come successo in passato, di assistere a una finanza che corre e un’economia reale che resta indietro.