“Sto cercando qualcosa di autentico in questo rumore”: il film ‘Springsteen-Liberami dal nulla’ è un lavoro doloroso e struggente

  • Postato il 25 ottobre 2025
  • Cinema
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Sto cercando qualcosa di autentico in questo rumore”. Ha avuto un gran coraggio Bruce Springsteen a compiere la celebre “deviazione” dell’album Nebraska (1982) mentre era in fiammante rampa di lancio dopo il successo da primo in classifica di The River (1980). Come sono stati piuttosto temerari alla 20th Century Studios nel produrre Springsteen – Liberami dal nulla, il biopic sul “Boss”, diretto da Scott Cooper, dove non si attinge affatto alla scorciatoia delle hit del protagonista sparate a mille per pompare spettacolarità gratuita e illogica (di live del Boss se ne sentono davvero pochi istanti).

Il film di Cooper è invece un lavoro doloroso e struggente, da foglie autunnali che cadono in mezzo a disperazione e depressione. Già perché raggiunto mezzo gradino sotto la popolarità mondiale, Springsteen (Jeremy Allen White) decide di fare i conti con se stesso, con i suoi sensi di colpa, con la figura paterna violenta e borderline. Torna in New Jersey in una villetta isolata tutta vetrate fronte lago e attende l’ispirazione per un nuovo album, pardon: concept album. Non pensa ai singoli, ma alla storia che scorre tra un brano e l’altro. Lo spirito però, contrariamente ai capoccioni della Columbia che si attendono la consacrazione, è quello dei giorni bui, dello sguardo intimo rivolto al passato zeppo di “veleno” da spurgare. Tra la frequentazione di Faye, una ragazza madre (Odessa Young) e la fiducia e i consigli del manager Jon Landau (Jeremy Strong), Bruce ostinato e cocciuto registrerà ballate folk acustiche su una cassetta con un mix a quattro tracce, echi sonori poco vendibili e testi ispirati a figure di assassini e marginali, senza ritoccarlo in studio con la band.

Cooper cuce le trame della leggenda, sfiorando giubbotti di pelle, camicione a scacchi e bottoni a clips del Boss, cercando la ricostruzione di un passato semi conscio in bianco e nero che si riverbera continuamente in un presente dai colori drammatici. Springsteen – Liberami dal nulla è in fondo un film manifesto sulla purezza creativa e sulla coerenza personale di un’artista che ha voluto comporre ogni suo brano fino all’ultimo minuscolo arrangiamento in 50 anni di carriera. Solo che lì, nei mesi in cui con un pennarello nero scriveva i testi dell’album Nebraska, Springsteen era come se eludesse la dimensione del mito per far spazio ad una percezione più autentica e sconvolta del proprio sé. Certo Cooper non è Bergman, ma un buon miscelatore di stati d’animo cupi e introversi con la dolcezza di quello che diventerà una sorta di happy end.

Del resto il Boss aveva ragione. Nebraska “niente singoli, niente tour, niente stampa”, letteralmente inascoltabile in radio, un po’ come Bohemian Rapsody dei Queen, arriverà addirittura al terzo posto dei dischi più venduti negli Stati Uniti. Senza dimenticare che i nastri di Colts Neck sono già ricchi di tracce di brani che il Boss porterà successivamente al successo planetario come Born in the USA, qui sì rifatta in studio di registrazione con una verve compositiva di ruvidissimo rock. Come ogni biopic che si rispetti, infine, la mimesi totale attoriale sembra l’obbligo più urgente delle produzioni odierne. Allen, che non è proprio un fulmine di guerra nel sovrapporsi al Boss, trasmette comunque una essenziale e sentita fragilità d’animo per far uscire senso oltre la copia carbone del protagonista. Una postilla enorme su Jeremy Strong, qui nei panni di Landau, confidente, amico, produttore del Boss, personaggio agli antipodi del Colonnello di Elvis per capirci. L’avevamo già notato (le serie non le guardiamo quindi niente Succession, grazie) in The Apprentice dove interpreta magistralmente il mentore di Trump. Ebbene il suo Landau, equilibrato, lungimirante, onesto e leale, nonché performantivamente magnetico, vale un terzo e qualcosa di più di film.

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Il Fatto Quotidiano

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