Stop all’Ilva: Taranto ferma l’acciaio. Ci dovremo rifornire all’estero
- Postato il 4 luglio 2025
- Di Panorama
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Stamattina l’ex Ilva di Taranto fermerà una delle banchine portuali, il terzo sporgente. Ufficialmente per lavori alla ferrovia. In realtà perché il lavoro è venuto meno. Tanto che a resterà operative saranno «poche figure professionali» fa sapere l’azienda.
Siamo di fronte a un dramma che parte da lontano. Gli stabilimenti di Acciaierie d’Italia oggi producono quasi la metà di quanto l’impianto mettesse sul mercato negli anni Sessanta. A partire dalla cacciata della famiglia Riva, sono stati fatti tutti gli errori possibili. La magistratura non ha mai preso in considerazione un fatto semplice. In Costituzione il diritto alla salute e quello al lavoro sono paritetici. Il primo non può mai avere la supremazia. Poi c’è stata la stagione dei grillini e per mera opportunità elettorale è stato cancellato lo scudo penale studiato appositamente per evitare che i nuovi investitori (all’epoca gli indiani di Arcelor Mittal) rispondessero di vecchi reati.
La scelta scellerata ha fornito l’assist ai nuovi investitori di portare avanti la loro vera strategia. Cioè, uccidere lentamente l’ex Ilva per favorire gli altri stabilimenti più produttivi e meno costosi. Per Arcelor perdere qualche decina di milioni (a braccetto con lo Stato) era nulla rispetto agli utili miliardari del gruppo. Quando l’attuale governo ha provato a rimettere assieme i cocci, non si è trovato alcun collante in grado di funzionare. A quel punto è di nuovo saltato il banco. Un nuovo commissariamento al quadrato. Si è fatta ripartire la macchina ma al minimo dei giri e nel frattempo sono state avviate le consultazioni e le trattative per un nuovo partner.
E poi si è navigato a vista, così, ora, dopo un decennio di declino, c’è stata una drammatica accelerazione. Lo spegnimento dell’altoforno principale, gli ulteriori interventi della magistratura, le mosse politiche guidate da Michele Emiliano, il tema del rigassificatore (per cui Acciaierie sta cercando un partner, come ribadito ieri) e, infine, lo sfilarsi del pretendente azero, Baku Steel, sembrano aver dato il colpo di grazia. Ieri Il Giornale ha riportato una notizia secondo la quale il ministero guidato da Adolfo Urso, starebbe dialogando con gli enti locali liguri per portare un pezzo di produzione a Genova, Novi Ligure e Cuneo. Cosa resterebbe a Taranto? Una mini Ilva, suggerisce il quotidiano già di via Negri. In realtà non resterebbe nulla. Per la folle gioia delle associazioni ambientaliste e di mezzo Pd locale. Il quale spera che i lavoratori pugliesi possano rimanere in cassa integrazione a vita. Un po’ come per anni abbiamo sperimentato con Alitalia. Lunedì ci sarà incontro tra governo e sindacati per fare il punto della situazione, ma è improbabile che saltino fuori novità positive. Siamo di fronte, quindi, a una pessima notizia per tutto il Paese e per una nazione che ambisce a rimanere nel G7. Notizia che si aggiunge a un contesto europeo che sembra destinato a deindustrializzare l’intero Continente. Mentre il mondo cambia velocemente, noi siamo fermi a normative (apparentemente pro ambiente) come gli Ets e il Cbam che affosseranno ancora di più l’industria pesante. Perché uno dei motivi che ha mandato in crisi gli stabilimenti di Taranto (assieme a tanti altri) è sicuramente il costo delle bollette. Già da prima che scoppiasse la guerra in Ucraina. Ma l’altro motivo sembra essere l’assenza di un quadro di insieme. La mancanza di una politica e di una strategia industriale unitaria dentro il sistema Paese. In una recente intervista il numero uno di Fincantieri, Pierroberto Folgiero, parlando delle opportunità che derivano dal piano di riarmo ha citato la controllata Vard che ha siti in Romania. Significa che lì si crescere e che verrà usato «ferro» romeno. Sacrosanto per una azienda che ha bisogno di produrre. Meno per l’Italia che arriva impreparata a fornire le basi del rilancio industriale. Ci serve una filiera integrata e non solo le aziende di punto. altrimenti a beneficiarne saranno Paesi europei o extra europei, magari la Cina.
Ma il riarmo non è il solo tema, così come Taranto non è l’unica vittima. A breve ci sarà un incontro, l’ennesimo, a Piombino per valutare quali strade si possono percorrere. Da tempo dal sito toscano non escono i prodotti che l’avevano reso famoso in tutto il mondo: il materiale rotabile per le ferrovie. abbiamo la raffineria di Priolo che da tempo boccheggia e rischia di fermarsi. Infine, c’è il caos di StMicroelectonics. La governarce dell’azienda di semiconduttori condivisa da Italia e Francia è in panne. Il prossimo 28 luglio è convocato un tavolo plenario al Mimit. Ma intanto passano le settimane e il rischio non è solo che Parigi impoverisca gli stabilimenti italiani a favore di quelli francesi, ma è anche quello di trovarci impantanati e perdere il tram del rilancio del comparto dopo che sarà finita la tempesta dei dazi e il caos commerciale innescato da Donald Trump.