Strage di Bologna, per Paolo Bellini ultimo atto in Cassazione il prossimo 30 giugno. Accusa e difesa a confronto

  • Postato il 30 aprile 2025
  • Giustizia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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È stato fissato al prossimo 30 giugno il processo in Cassazione per l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, accusato della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 e condannato all’ergastolo in primo e secondo grado. Fu lui, killer a pagamento e terrorista di destra che – insieme ai Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva) e Gilberto Cavallini (condannato in appello), finanziati da Licio Gelli e coperti dai servizi segreti, a portare o ad aiutare coloro che portarono l’ordigno che provocò la “micidiale esplosione” causando “l’orribile strage” secondo i giudici dell’appello. Oltre a Bellini affronteranno il processo davanti ai giudici della Suprema corte anche l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, condannato a sei anni per depistaggio, e Domenico Catracchia, amministratore di alcuni condomini di via Gradoli a Roma, condannato a quattro anni per false informazioni al pubblico ministero.

I giudici della Corte d’assise d’appello di Bologna che l’8 luglio 2024 hanno confermato l’ergastolo nei confronti di Paolo Bellini – nelle 421 pagine di motivazioni del verdetto non solo ribadiscono le conclusioni dei giudici di primo grado ma aggiungono: “È provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la consapevole e premeditata partecipazione attiva del Bellini alla strage di Bologna”. Un verdetto che arriva a pochi mesi dal 45° anniversario della strage e su cui dovrà esprimersi solo la Cassazione che sarà chiamata anche a vagliare le matrice e le coperture di altissimo livello che, sia per i giudici di primo che di secondo grado, i terroristi hanno ricevuto e su cui hanno potuto contare per anni.

I 18 motivi della difesa – Contro questo verdetto hanno presentato appello i difensori Bellini. Per gli avvocati “le due sentenze conformi” non hanno rispettato “lo standard valutativo della prova indiziaria, in quanto sia nell’operazione propedeutica consistente nella valutazione di ogni singola prova, sia nella valutazione globale, riteniamo che non abbiano risolto la fisiologica parzialità, e connessa relativa ambiguità, di ciascun indizio, per pervenire alla certezza che consente di attribuire il reato all’imputato ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’”. Antonio Capitella e Manfredo Fiormonti, nel ricorso depositato in Cassazione per chiedere “l’annullamento, con o senza rinvio”, hanno elencato 18 motivi. Tra questi anche il rigetto della richiesta di citare nuovamente come testimone la nipote di Paolo Bellini, Daniela, che in primo grado era stata citata dall’accusa e si era avvalsa della facoltà di non rispondere: “Una teste fondamentale – per i due difensori – perché avrebbe deposto sul fatto decisivo se erano o meno passati per Bologna, oppure avevano ininterrottamente viaggiato da Scandiano fino a Rimini”.

La nipote – Bellini ha sempre dichiarato di non essere stato in stazione perché in viaggio con i suoi familiari al passo del Tonale, mentre per l’accusa e per i giudici di primo e di secondo grado Bellini e i suoi familiari partirono da Rimini più tardi, intorno all’ora di pranzo. Ore dopo che il tetto della sala d’aspetto collassasse per effetto della deflagrazione. Bellini si era fatto vedere in giro con la bimba proprio per costituirsi l’alibi, poi crollato per effetto del video e delle testimonianze. Per i magistrati dell’appello “non si è in presenza di un alibi semplicemente ‘fallito’, ma di un alibi appositamente preordinato ed apparentemente solidissimo e granitico in quanto egli, diverse ore prima della strage, si è fatto consegnare da terze persone lontane da Bologna una bambina (la nipote Daniela, ndr) con la quale si è poi fatto vedere da altre persone dopo la strage ancora lontano da Bologna, alibi rivelatosi falso soprattutto per una circostanza assolutamente fortuita e imprevedibile, vale a dire un video girato da un turista straniero per ricordo famigliare”. Si tratta del video di Harald Polzer, girato dalle ore 10.13 del 2 agosto 1980.

L’orologio – Altro elemento per chiedere l’annullamento della sentenza, per Capitella e Fiormonti, è “l’aver omesso di accertare l’orario segnato sull’orologio indossato da una signora ripresa dietro l’anonimo ritenuto Paolo Bellini, oppure di accertare l’orario in cui sono state riprese le immagini nelle quali compare l’anonimo ritenuto Paolo Bellini con il ricorso allo strumento del Sun Earth Tools, secondo le regole della scienza gnomonica”. Per i due legali, infatti, l’orologio della signora segnerebbe le 12.15 o le 13.15, orari in cui Bellini non poteva essere presente in stazione. La questione dell’orologio era stata già proposta dalla difesa e l’accusa, sostenuta dal pg di Bologna Nicola Proto, aveva spiegato perché non poteva essere così. “Quelle immagini non potevano essere girate alle 13.15 perché il treno su cui si trovava Polzer non era più sul posto alle 13.15 e lui non avrebbe mai potuto girare le riprese a quell’ora- Sul binario – aveva sostenuto Proto – rimasero solo le carrozze 9 e 10, mentre Polzer si trovava nella carrozza 11, che poco dopo l’esplosione (che avvenne alle 10.25, ndr) fu spostata per consentire il passaggio dei soccorsi dal binario 1 al binario 3”. Proto poi aveva citato quella che aveva definito una “prova formidabile” ovvero le immagini di un filmato di una tv amatoriale in cui il cameramen inquadra l’orologio del terzo binario che segna le 11.23 e dal treno su cui viaggiava Polzer erano già state staccate le carrozze dalla 11 alla 14. Quindi secondo la ricostruzione della Procura generale, Polzer alle 13.15 non avrebbe potuto fare quelle riprese perché la carrozza su cui si trovava era già stata spostata altrove.

Il finanziamento della strage – Poi c’è il capitolo del “finanziamento della strage” e della “remunerazione degli esecutori materiali”, che per i difensori è contraddistinto da “mancanza, contraddittorietà e travisamento della prova”, così come c’è “manifesta illogicità” per quanto riguarda la presenza di Bellini alla stazione di Bologna e in relazione alla sua militanza in Avanguardia Nazionale. I legali mettono in discussione anche la perizia esplosivistica svolta da Danilo Coppe e Adolfo Gregori nel processo a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini, poi acquisita nel processo a Bellini, parlando di “travisamento della prova”.

Inoltre spiegano che la Corte cade in errore “nel ritenere estranee al capo di imputazione e quindi alla contestazione operata nei confronti di Bellini tutte le condotte ascritte a Licio Gelli, Federico Umberto D’Amato, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi integranti il mandato ed il finanziamento” della strage. “Dette condotte – spiegano – al contrario costituiscono un segmento del fatto contestato all’imputato, integranti un elemento costitutivo del reato di cui all’art. 285 c.p., con la conseguenza che, a causa della premorienza dei soggetti indicati, l’accertamento di un elemento costitutivo del reato è sottratto”.

La figura di Bellini – I giudici d’appello avevano invece rilevato che “dalla storia criminale di Paolo Bellini – killer a pagamento e disponibile a commettere su richiesta gravissimi delitti, anche per ragioni “politiche” e ciò sia PRIMA che dopo la strage di Bologna – dalla sua militanza in Avanguardia Nazionale, dai suoi rapporti con la destra eversiva militarmente organizzata, con i servizi di sicurezza e segreti deviati e con il procuratore della Repubblica Ugo Sisti nonché dalle coperture e protezioni ricevute anche da apparati istituzionali, in Italia ed all’estero, PRIMA e DOPO la strage di Bologna ed, altresì, dal suo acclarato ruolo di “infiltrato” nella mafia e di “mediatore” nella trattativa con esponenti mafiosi di altissimo ed apicale livello, emerge con assoluta evidenzia la sua piena disponibilità a partecipare ad operazioni delittuose gravissime per ricevere in contropartita agevolazioni, protezioni ed anche compensi in denaro, compensi in denaro che Licio Gelli ha sicuramente versato per far compiere e depistare la strage di Bologna”.

I collegamenti con Gelli – Inoltre sono stati ritenuti “provati anche i collegamenti personali tra Paolo Bellini e colui il quale aveva sua volta contatti personali con i finanziatori e gli organizzatori materiali della strage, poiché senza ombra di dubbio alcuno non solo sono provati i rapporti diretti tra Licio Gelli e Federico Umberto D’Amato e Stefano Delle Chiaie, ma anche quelli tra quest’ultimo e l’imputato, entrambi militanti nella formazione di destra eversiva Avanguardia Nazionale”. I magistrati sottolineano che “è quindi provato che pochi giorni prima della strage di Bologna, Marco Ceruti, factotum di Licio Gelli, ed anche quest’ultimo, si trovassero a Roma laddove vi erano anche due degli esecutori materiali del grave crimine, con la conseguenza che in uno di questi giorni (il 30 o il 31 luglio 1980) è stato possibile consegnare al Fioravanti e alla Mambro (o a un loro emissario) il compenso in denaro pattuito per commettere la strage”.

Ci saranno questi elementi al vaglio dei giudici della VI sezione della Cassazione. Il verdetto potrebbe arrivare prima del 45° anniversario del massacro della sala d’aspetto di seconda classe che esplose portandosi via 85 vite e lasciando tra le macerie e la polvere quelle di altri oltre 200 persone.

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