Stress test. Una lettura dietro le righe dell’incursione dei droni russi in Polonia

  • Postato il 13 settembre 2025
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  • Di Formiche
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A pochi giorni di distanza dall’accaduto, la vicenda dello sconfinamento dei droni russi in territorio polacco continua ad essere al centro dell’attenzione. E non è certo difficile capirne il perché. Quanto avvenuto ha infatti denotato una certa solidità dell’Alleanza, che ha fornito una risposta immediata e coesa; tuttavia, la questione ha anche messo in evidenza una serie di problematiche che vanno dalla dimensione militare a quella politica, e anzi le attraversano in modo trasversale.

La prima criticità riguarda le capacità di difesa dell’Alleanza sul piano pratico. Sin dalle ore successive, la Polonia ha chiesto ai propri partner della Nato un maggior sostegno in termini di capacità anti-aeree (in particolare, la richiesta avrebbe riguardato i sistemi Patrio) per rispondere in modo più efficace a future incursioni russe. Ma il problema non è solo numerico, quanto quantitativo. Economici droni russi fatti in gran parte di legno e poliuretano sono stati abbattuti con sistemi d’arma dal valore di svariati milioni di dollari, il cui semplice utilizzo (tra carburante e munizionamento) ha quasi sicuramente avuto un costo superiore rispetto a quello dei velivoli abbattuti. Certamente c’era l’intenzione di mandare un messaggio forte, ma allo stesso tempo quanto accaduto è stato significativo nel rispecchiare un’inadeguata preparazione della Nato ad affrontare tali minacce.

In un documento dedicato a fornire una panoramica delle capacità di difesa europee pubblicato ad inizio settembre, l’International Institute for Strategic Studies ha dedicato un capitolo intero alla cosiddetta “Difesa missilistica europea”, sottolineando che le principali lacune degli appartai militari-industriali dei Paesi del Vecchio continente non riguardassero le capacità di difesa a medio e lungo raggio, ma quelle a corto e a cortissimo raggio, ponendo l’enfasi proprio sulla difesa contro i “droni kamikaze”.

Un altro punto cruciale riguarda l’aspetto politico. Sul New York Times, il giornalista Andrew Kramer nota come lo sconfinamento dei droni nello spazio aereo polacco sia il culmine di un processo iniziato poche settimane prima in cui Mosca ha attaccato bersagli dalla sempre maggior sensibilità politica (una fabbrica americana sita nell’Ucraina occidentale, due complessi diplomatici europei, un importante edificio governativo ucraino a Kyiv). In altre parole, i droni russi che hanno sorvolato la Polonia “dimostrano che il senso di impunità di Putin continua a crescere”, come ha affermato il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha in una dichiarazione sull’incidente, aggiungendo che “non è stato punito adeguatamente per i suoi crimini precedenti”.

Secondo alcuni analisti Mosca ha difficoltà ad aumentare l’escalation convenzionale in Ucraina, avendo raggiunto il limite delle sue capacità militari, e perciò decide di ricorrere a “mosse simboliche” come gli attacchi aerei contro obiettivi occidentali in Ucraina o i voli di droni oltre il confine della Nato per inviare un messaggio. La reazione Nato, come già detto nelle righe precedenti, c’è stata, e sufficientemente netta e muscolare, senza essere al contempo provocatoria. 

Ma il Cremlino potrebbe in realtà essere già intenzionato a fermarsi qui. Un’interessante (e realistica) interpretazione è stata fornita da un consigliere dell’ufficio presidenziale ucraino, che ha parlato in forma anonima con il Nyt affermando che la Russia potrebbe offrire alla Polonia e agli alleati allarmati di Varsavia nella Nato una garanzia contro future incursioni, presentandola come una concessione nei colloqui per porre fine alla guerra in Ucraina.

 

Autore
Formiche

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