Studio, tagli e negazionismo della Casa Bianca spingono i ricercatori a emigrare. Crescono del 32% le domande per l’estero
- Postato il 24 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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I tagli drastici ai finanziamenti e le restrizioni sui contenuti, e le modalità di ricerca imposti dall’amministrazione di Donald Trump ad università ed istituti, continuano a provocare effetti negativi. Una recente indagine, condotta da Springer Nature sulla sua piattaforma di offerte di lavoro, conferma che scienziati e ricercatori americani stanno cercando nuove opportunità all’estero. Tra gennaio e marzo 2025 si è registrato un aumento del 32% di scienziati statunitensi decisi a emigrare per lavoro. E le visualizzazioni per opportunità di occupazioni nel settore ricerca all’estero sono cresciute del 35%. Viceversa sono scese del 41% le domande per posizioni negli Stati Uniti da da parte dei ricercatori europei.
Si tratta comunque, precisa Nature, di “informazioni commercialmente privilegiate”, motivo per cui la piattaforma non fornisce dati specifici sul numero assoluto di ricercatori americani coinvolti nell’ “esodo” all’estero. Tuttavia, il gruppo editoriale aveva condotto un sondaggio tra i ricercatori, mostrando come ben il 75% degli intervistati stesse prendendo in considerazione l’idea di lasciare gli Stati Uniti.
“Avere questo grande calo di visite e richieste di lavoro negli Stati Uniti e l’aumento simile di coloro che cercano di andarsene è senza precedenti”, ha concluso James Richards, che guida il team Global Talent Solutions di Springer Nature. Anche per quanto riguarda le domande canadesi per posti di lavoro statunitensi sono diminuite del 13% mentre le richieste di lavoro in Canada sono aumentate del 41%. Una situazione “allarmante”, che sembra “minacciare” la ricerca di molti dottorandi e ricercatori post-dottorato, che dichiarano di non poter più parlare liberamente a lavoro.
Una serie di ordini esecutivi emanati dalla Casa Bianca hanno reso effettivi i tagli di più di 200 sovvenzioni federali, destinate, tra l’altro, alla ricerca su Aids e Covid-19. Collaterale alle contrazioni di budget, è stata anche la riduzione o revoca dei finanziamenti alle istituzioni universitarie, come quelle per Harvard e per la Columbia University. Questo ateneo si è vista cancellare fondi per 400 milioni di dollari, in seguito ad accuse di una presunta scarsa determinazione nel contrastare le mobilitazioni studentesche a sostegno dalla Palestina.
In questa situazione di fuga generale dal mondo accademico statunitense, le richieste verso atenei europei sta salendo: a inizio marzo, riporta Il corriere della Sera, l’ateneo francese dell’Università di Aix-Marsiglia ha promosso l’iniziativa Safe Place for Science, indirizzandola a ricercatori Usa licenziati, censurati o ostacolati nel loro lavoro. Un’iniziativa che ha richiesto l’investimento di 15 milioni di euro a sostegno di 15 ricercatori impegnati su temi come clima, salute, ambiente e scienze sociali. Delle 298 domande, ben il 70% proveniva dagli Usa. Anche un altro ateneo tedesco, la Max Planck Society, parallelamente a quello francese, s’è visto costretto a creare centri di ricerca in collaborazione con istituzioni con sede negli Usa per permettere ad alcuni suoi ricercatori americani di restare più a lungo in Germania.
L’Europa non è però l’unico continente che sembra offrire possibilità lontano dalle minacce trumpiane. Il secondo “porto sicuro” sembra essere proprio l’Asia e, nella fattispecie, il mercato lavorativo cinese. Nei primi tre mesi del 2025 infatti, le visualizzazioni provenienti dagli Stati Uniti di annunci lavorativi in Cina pubblicati su Nature Careers sono aumentate del 30% rispetto al trimestre dell’anno passato. Simile ragionamento per altri Paesi asiatici verso cui l’interesse è aumentato del 39% in termini di candidature inviate.
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