Su ferrovie regionali, ospedali e carceri obiettivi Pnrr lontani. E c’è il nodo del post 2026: chi paga per mantenere le opere?
- Postato il 5 agosto 2025
- Osservatorio Recovery
- Di Il Fatto Quotidiano
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Una spesa complessiva ferma – quando manca un anno al traguardo – a poco più del 39% delle risorse complessive che l’Italia riceverà dalla Ue. Con picchi ben più negativi, come il misero 17,7% di fondi impiegato finora per gli ospedali di comunità. Il rischio che interventi come il potenziamento delle linee ferroviarie regionali e la costruzione di nuovi padiglioni penitenziari non vengano conclusi entro la deadline. Una “forte carenza di personale” nelle strutture incaricate di rendicontare gli interventi, tanto che controllarne anche a campione l’effettiva attuazione è un miraggio. Infine, lo spauracchio che aleggiava fin dall’inizio e ora diventa concreto: una volta archiviato il Recovery, gli enti locali potrebbero non essere in grado di sostenere i costi di gestione, manutenzione e funzionamento delle opere. La Corte dei Conti, nell’ultima relazione sull’avanzamento di un campione di progetti del Pnrr, rinnova l’allarme su cosa resterà, dal settembre 2026, del piano che negli auspici iniziali doveva non solo garantire la ripresa post Covid ma soprattutto far uscire l’Italia dal circolo vizioso della bassa crescita e scarsa competitività.
A rischio il potenziamento delle linee regionali
La sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato stavolta ha messo sotto la lente 16 interventi del Pnrr e 4 programmi del Piano complementare. I pendolari non saranno contenti di apprendere che la prima preoccupazione riguarda il potenziamento della rete ferroviaria regionale – parte della missione dedicata alle infrastrutture di competenza del ministero guidato da Matteo Salvini. Se la costruzione di 119 km di infrastruttura ferroviaria ad alta velocità sulle direttrici Napoli–Bari, Salerno–Reggio Calabria e Palermo-Catania (1,8 miliardi le risorse previste inizialmente) ha già visto un ridimensionamento dei target, con riduzione a 720 milioni dei fondi previsti, per le linee regionali il panorama è sconfortante. A giugno 2025 “nessun intervento risulta completato, ad eccezione della fornitura di 3 treni a media capacità di tipo bidirezionale per la Regione Veneto”, e “alla luce delle ricorrenti criticità emerse in fase di acquisizione dei mezzi o di realizzazione delle opere, appare necessario abbreviare i tempi per l’annunciata procedura di riduzione delle assegnazioni” e scrivere “un nuovo cronoprogramma”, perché “allo stato attuale emerge il ragionevole timore che la continua riprogrammazione e/o rimodulazione degli obiettivi possa pregiudicare il completamento dell’intero programma di opere, considerato che l’utilizzo effettivo delle risorse potrebbe protrarsi ben oltre il termine finale fissato al 31 dicembre 2026″.
Edilizia carceraria al palo
A pochi giorni dall’annuncio in pompa magna da parte di Giorgia Meloni di un “nuovo piano carceri”, val la pena capire a che punto è il precedente progetto del ministero della Giustizia per la realizzazione di nuovi padiglioni penitenziari per adulti e minori, con 120,4 milioni di budget. Per il primo sub-investimento, che riguarda la realizzazione di otto nuovi padiglioni nei penitenziari di Civitavecchia, Ferrara, Perugia, Reggio Calabria, Rovigo, S. Maria Capua Vetere (Caserta), Vigevano e Viterbo, la milestone intermedia che consisteva nell’avvio dei lavori per il 100% delle gare risulta non conseguita: “Ad oggi risulta realizzata una percentuale minima delle opere contrattualizzate, atteso che per la quasi totalità degli interventi non è ancora avvenuta la consegna”. Quanto all’adeguamento degli istituti per minori di Casal del Marmo (Roma), Ferrante Aporti (Torino), Airola (Benevento) e ex convento S.S. Ludovico e Alessio (Bologna), nei casi di Bologna e Torino la scadenza di consegna dei lavori non è stata rispettata.
Spesa a rilento per ospedali e case di comunità
In chiaroscuro il risultato dei controlli su due misure cruciali della Missione 6, relativa alla salute. Si tratta degli ospedali di comunità, chiamati a evitare ricoveri non necessari e accessi “impropri” al pronto soccorso dopo la drammatica esperienza del Covid, e delle case di comunità che offrono assistenza sanitaria di prossimità territoriale. Con i soldi del Pnrr (3 miliardi in tutto) si progettava, all’inizio, di realizzarne rispettivamente 381 e 1.350. Poi, tra aumento dei costi delle materie prime e ritardi nelle forniture, gli obiettivi sono stati rivisti al ribasso, a 307 e 1.038. In concreto come sta andando? La Corte dei Conti rileva che sono stati avviati lavori per un numero di strutture superiore all’attuale target, ma dal punto di vista finanziario la spesa sostenuta dagli enti attuatori arranca. Le tabelle con i dati aggiornati al 24 luglio dicono che è al 22,42% del budget totale di 2 miliardi per le case della comunità e al 17,7%, su 1 miliardo di risorse, per gli ospedali. Cifre che hanno allarmato la Cgil: per la segretaria confederale Daniela Barbaresi “di questo passo ci vorranno almeno otto anni per completare tutte le Case della Comunità e almeno nove per gli Ospedali di Comunità. Uno scenario allarmante che richiede davvero uno scatto miracoloso per evitare il fallimento annunciato di un’occasione irripetibile”. Nei giorni scorsi anche il Gimbe aveva segnalato forti ritardi sia sulla riorganizzazione dell’assistenza territoriale sia sul potenziamento dei posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva.
Manca personale per controllare l’attuazione
Va detto che sull’affidabilità delle percentuali di attuazione della spesa non ci sono molte certezze. Perché la rendicontazione e i controlli sono complicati dalla struttura stessa del piano. Il fatto che molti progetti siano affidati a soggetti attuatori locali – come Comuni, Regioni e aziende sanitarie – comporta una frammentazione che rende più complesso garantire l’aggiornamento tempestivo e corretto dei dati sul sistema Regis, lo strumento informatico centrale di monitoraggio. Quelli con minore capacità amministrativa e strutture limitate continuano ad avere “difficoltà operative legate all’inserimento e alla validazione dei dati”. E in generale “tutte le Amministrazioni in esame hanno evidenziato la penuria di organico negli uffici di rendicontazione e controllo, con conseguente allungamento delle tempistiche”. Su diversi interventi la Corte ha sollecitato controlli più approfonditi in loco, anche a campione, sull’effettivo stato di attuazione, ma spesso si è sentita rispondere che era impossibile “per mancanza di personale”. Questo nonostante gli enti siano consapevoli di non avere “reale riscontro sull’adempimento degli obblighi posti a carico
dei soggetti beneficiari”.
Che succede da settembre 2026?
Nelle considerazioni finali, la Corte mette in guardia sulle conseguenze che gli interventi avranno sul bilancio pubblico dopo il 2026, quando terminerà la copertura garantita dai fondi europei. I magistrati contabili sono espliciti: “Ciò che desta preoccupazione, soprattutto presso i Comuni, è che alla fine del 2026 gli Enti locali si trovino con opere per le quali non vi siano più risorse finanziarie ed umane sufficienti per il loro funzionamento. È quindi necessario un fermo richiamo sul tema della sostenibilità dei servizi, evidente criticità del PNRR nello stato attuale”. In questo scenario, osserva la Corte, la tenuta degli interventi dipenderà anche dalla politica di bilancio che verrà adottata, e sarà necessario “porre particolare attenzione al problema, soprattutto ove si scelga di ricorrere al sistema dei tagli lineari”. L’avvertimento è chiaro: senza una pianificazione adeguata, il rischio è che le rigidità future della finanza pubblica compromettano proprio i risultati strutturali che il Piano avrebbe dovuto consolidare.
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