Tensioni sui titoli di Stato dopo l’ok della Camera Usa al piano fiscale di Trump

  • Postato il 22 maggio 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Il passaggio alla Camera Usa della riforma fiscale voluta da Trump, che dovrà essere poi votata al Senato, ravviva i timori per la sostenibilità del debito statunitense provocando immediate ripercussioni sulle quotazioni dei titoli di Stato, statunitensi ma non solo. Il rendimento dei Treasury a 30 anni risale al 5,15% , su valori che non si vedevano dal 2007, primo anno della grande crisi finanziaria globale (se il rendimento di un titolo di Stato sale, significa che il suo valore sta scendendo. L’interesse, infatti, è fisso in cifra assoluta ma viene espresso come percentuale del valore del bond, ndr). Il tasso del decennale Usa è in rialzo al 4,59%. Deboli pure il dollaro. La risalita dei rendimenti Usa trascina i bond esteri. Un trentennale giapponese rende il 3,15%, massimo da almeno il 1999. L’equivalente tedesco paga il 3,16%, in rialzo di 3 punti base rispetto a ieri.

Il decreto fiscale voluto da Trump, con importanti tagli delle tasse, alza di 4mila miliardi di dollari il tetto al debito Usa. Questo mentre gli Stati Uniti hanno perso anche l’ultimo voto di massima affidabilità debitoria, quello dell’agenzia Moody’s, che ha tolto agli Usa la “tripla A”. Gli investitori sono preoccupati dalla prospettiva di un aumento degli indebitamenti statali, in una fase in cui i tassi ufficiali non sono a zero o prossimi allo zero come qualche anno fa. Tensioni commerciali e conseguente inflazione, potrebbero inoltre spingere le banche centrale ad adottare politiche monetarie più restrittive. Quindi tassi più alti e peso del debito in ulteriore aumento.

Attualmente il debito statunitense è introno al 100% del Pil ma è avviato su una traiettoria che lo porterebbe al 134% nei prossimi 10 anni. O anche oltre, qualora venissero adottate politiche fiscali più espansive, come quelle a cui mira Trump. Gli economisti temono che inizia a diffondersi un’erosione della fiducia negli Usa che comporterebbe una riduzione dei flussi di capitali provenienti dall’estero, rendendo ancora più difficile far quadrare i conti. Nel suo blog, il premio Nobel Paul Krugman richiama una affermazione del celebre economista canadese Rüdiger Dornbusch: “Le crisi impiegano molto più tempo ad arrivare di quanto si pensi ma poi avvengono molto più velocemente di quanto avresti pensato”.

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Il Fatto Quotidiano

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