Terapia genica, la cura che salva i «bambini bolla»
- Postato il 28 ottobre 2025
- Di Panorama
- 2 Visualizzazioni
 
                                                                            
Una di queste è l’ADA-SCID, acronimo inglese che indica la Severe Combined Immunodeficiency da deficit di adenosina deaminasi. Si tratta di una patologia genetica infantile che colpisce fino a cinque neonati su un milione e distrugge progressivamente la capacità del corpo di difendersi da virus, batteri e funghi. L’assenza di un singolo enzima – l’adenosina deaminasi – impedisce ai globuli bianchi di maturare, condannando i bambini a vivere in ambienti completamente sterili. Non è un modo di dire: per decenni, questi piccoli pazienti hanno dovuto crescere isolati da tutto e da tutti, spesso in camere filtrate o con regole di igiene rigidissime. Da qui l’espressione “bambino bolla”, resa celebre anche da un film del 1976 con John Travolta.
L’isolamento e le cure palliative
Oggi non servono più vere e proprie bolle di plastica, ma l’isolamento rimane: nessun contatto diretto, ambienti filtrati, oggetti disinfettati, alimenti sterilizzati. Senza trattamento, l’ADA-SCID è quasi sempre letale entro i due anni di vita. Le opzioni terapeutiche esistenti – trapianto di midollo osseo o somministrazione regolare dell’enzima mancante – offrono solo soluzioni temporanee o palliative. Il trapianto richiede un donatore compatibile e comporta rischi elevati; le iniezioni di enzima sostitutivo migliorano i sintomi, ma non ricostruiscono un sistema immunitario funzionante. Da qui la ricerca di una strada più radicale: correggere il difetto genetico alla radice.
La rivoluzione della terapia genica
La risposta arriva dalla terapia genica, una tecnologia che punta a curare la malattia non con farmaci, ma con le stesse cellule del paziente, modificate e “riparate”. Nel caso dell’ADA-SCID, i medici prelevano dal sangue o dal midollo le cellule staminali che generano i globuli bianchi, le correggono introducendo una copia sana del gene difettoso e poi le reimmettono nel corpo. In questo modo, il sistema immunitario si ricostruisce da sé. Il trattamento richiede una sola somministrazione, ma la sua sofisticazione è tale da farne una delle cure più costose al mondo, con un prezzo che può raggiungere un milione di euro a paziente.
Un successo senza precedenti
Il risultato è senza precedenti: in uno studio internazionale condotto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, 62 bambini trattati con la nuova terapia genica sono sopravvissuti, con un tasso di successo del 100%. In alcuni casi, il monitoraggio dura da oltre dieci anni e mostra benefici clinici stabili nel tempo. Il coordinatore dello studio, Donald Kohn, dell’Università della California a Los Angeles, ha invitato comunque alla prudenza: «Per me, guarigione significa assenza totale della malattia per tutta la vita. Non possiamo ancora dirlo con certezza, ma i risultati sono straordinariamente incoraggianti».
Il nuovo vettore virale: più sicuro e stabile
La novità tecnologica più rilevante riguarda il tipo di vettore virale utilizzato per trasportare il gene sano nelle cellule. Se la terapia genica precedente, sviluppata in Italia, impiegava un retrovirus con un rischio di alterazioni indesiderate, la nuova versione sfrutta un lentivirus, considerato più stabile e sicuro. Nessuna complicazione grave è stata finora rilevata nei pazienti ai quali è stata somministrata. Inoltre, le cellule corrette possono essere congelate e spedite in altri ospedali, un passo fondamentale verso la diffusione della cura su scala globale.
Il precedente italiano e la sfida economica
L’ADA-SCID rappresenta un modello emblematico del dilemma delle malattie rare: terapie potenzialmente risolutive, ma destinate a pochissimi pazienti e quindi difficili da sostenere economicamente. Il precedente europeo, Strimvelis, nato all’Ospedale San Raffaele di Milano con il sostegno della Fondazione Telethon e dell’azienda GSK, era stato il primo trattamento genico approvato dall’Agenzia Europea dei Medicinali nel 2016. Ma la sua diffusione è rimasta limitata. Il costo elevato, unito alla scarsità di pazienti e alle complessità produttive, ha spinto la casa farmaceutica a sospenderne la commercializzazione. Oggi, la produzione di Strimvelis è garantita proprio da Telethon, che ne ha preservato la disponibilità per i casi più urgenti.
Verso una cura accessibile a tutti
Intanto, il gruppo di Donald Kohn lavora per industrializzare il nuovo trattamento e renderlo accessibile. Il brevetto appartiene all’UCLA e all’University College di Londra, mentre una nuova azienda, Rarity PBC, fondata dagli stessi ricercatori, ha ricevuto 13 milioni di euro di finanziamento pubblico per perfezionare la produzione su larga scala.
 
                         
                     
                                                                                                         
                            