Ti ricordi… Hakan Sukur, bidone in Italia, idolo assoluto in Turchia, ora povero e in esilio perché accusato di terrorismo

  • Postato il 12 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Tutto solo al centro dell’area: uno stacco neppure tanto aggraziato ma abbastanza potente da mettere il pallone in gol. In quel Torino-Bari del 10 settembre di trent’anni fa il primo gol in maglia granata di Hakan Sukur. Era stato acquistato in estate Hakan, per sostituire in attacco il partente Silenzi: investimento importante da parte di Calleri, 5 miliardi di lire al Galatasaray. Figlio di mamma macedone e papà kosovaro, Hakan nasce il 29 luglio ad Adapazari, ma viene registrato solo il 1 settembre. Da bambino ama più il basket che il calcio: il parquet è meglio del fango e della terra, dirà, ma probabilmente a fargli amare più la pallacanestro sono anche gli estenuanti allenamenti cui lo sottopone papà Sermet, ex calciatore, che non gli risparmia lunghe e durissime sessioni sotto la neve. A dieci anni aveva vinto anche diversi campionati di basket giovanile, ma alla fine prevale la passione del papà, e Hakan entra nelle giovanili del Sakaryaspor. Sempre sotto l’occhio vigile del padre, che non gli risparmia critiche per errori o partite opache, diventa professionista ed esordisce in SuperLig segnando anche il suo primo gol non ancora maggiorenne.

Viene comprato dal Bursaspor e poi dal Galatasaray nel 1992, comincia a segnare a raffica, guadagnandosi il soprannome di “Toro del Bosforo” (altri lo chiamano “il Van Basten turco”) e conquistando anche la maglia della nazionale turca. Il suo nome finisce sul taccuino di diverse società, dal Real Madrid al Paris Saint Germain che ci prova seriamente ad accaparrarsi l’attaccante turco perché ha da sostituire George Weah passato al Milan, ma il Toro con un investimento importante riesce ad anticipare tutti. Seguito da tempo, Hakan fa scoccare la scintilla in una gara contro la Svizzera a Berna: sotto gli occhi del presidente Calleri e del direttore sportivo Giorgio Vitali segna e gioca un’ottima partita. La trattativa procede bene salvo che a Torino, a contratto col Galatasaray già firmato, Hakan sembra avere un ripensamento: gli arriva l’eco delle feroci proteste dei tifosi a Istanbul, e con l’inseparabile padre Sermet al seguito si fa prendere da un misto di nostalgia e di paura di fronte alla prospettiva di andare per la prima volta lontano da casa.

Ma alla fine Hakan accetta la sfida e tra prime conferenze stampa e amichevoli tutto sembra andar bene: dice qualche parola in italiano e segna in ritiro contro il Bressanone e fa letteralmente fregare le mani ai tifosi quando, nel trofeo Vincenzo Spagnolo che vedeva il Toro di Sonetti opposto nella settimana di Ferragosto a Genoa e Nottingham Forest, spara un sinistro al volo all’incrocio contro i rossoblu. Poi c’è l’esordio in campionato, contro la Fiorentina: Hakan non gioca bene, ma neppure il Toro fa granché in quella partita. Arrivano le prime critiche, spezzate da un’ottima gara in nazionale e dal primo gol in maglia granata, appunto, contro il Bari, con i compagni che lo abbracciano e lui che esulta felice. Ma nelle successive gare tra gol mangiati e lunghi minuti di anonimato Hakan torna a far interrogare tifosi e società sul suo effettivo valore. Si innesca anche una polemica coi compagni, rei a suo dire di non passargli la palla, salvo poi ritornare sui suoi passi ma ormai è evidente che il rapporto tra Sukur e il Torino sia rotto: torna al Galatasaray dopo cinque partite giocate, e lì ritorna a far gol a raffica. In campionato, in Champions, in Europa League col Galatasaray che alla fine alzerà anche il trofeo: gol che gli valgono il ritorno in Italia, all’Inter, con cui segna in Supercoppa Italiana e cinque volte in Serie A e poi al Parma, con cui vince la Coppa Italia.

Poi dopo una parentesi al Blackburn torna al Galatasaray vincendo altri campionati e segnando altri gol diventando il miglior marcatore di sempre nella storia del club turco. Poi Hakan torna a far parlare di sé una volta terminata la carriera: dopo aver lasciato il calcio giocato, l’ex attaccante si è avvicinato alla politica, entrando nel 2011 nel Parlamento turco come deputato del partito di Erdoğan. Una militanza durata poco: due anni più tardi, in disaccordo con la linea del governo, se ne distacca e si schiera con il movimento legato a Fetullah Gülen. Da quel momento, la sua vita cambia radicalmente. Con il fallito colpo di Stato del 2016 e la durissima repressione che ne segue, il nome di Hakan Şükür diventa tabù in patria. Accusato di “terrorismo” per i suoi presunti legami con Gülen, processato in contumacia e condannato a pene durissime, vede il padre finire in prigione, i beni sequestrati, la famiglia perseguitata. Costretto all’esilio, si trasferisce prima in California e poi sulla East Coast, negli Stati Uniti, dove prova a rifarsi una vita.

Lontano dalla gloria dei campi, l’uomo che in Turchia era venerato come il “Toro del Bosforo” si ritrova a fare lavori umili: ha guidato Uber, ha gestito una piccola caffetteria, ha venduto libri. In un’intervista del 2018 raccontava: “Non ho più niente. Non c’è un solo centesimo lasciato sul mio conto in banca. Tutto ciò che ho fatto è stato giocare a calcio, eppure sono stato trattato come un nemico dello Stato”. Così, il recordman di gol della nazionale turca – quello che ha segnato il più rapido della storia dei Mondiali, 11 secondi contro la Corea del Sud nel 2002 – oggi vive lontano da casa, con addosso la malinconia dell’esilio e il rimpianto di una patria che lo ha rinnegato. Una rimozione che a volte sfiora l’assurdo: emblematico il caso di un telecronista turco licenziato in diretta per aver semplicemente pronunciato il suo nome durante una partita.

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Il Fatto Quotidiano

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