Tocca rassegnarsi: saremo sempre meno liberi di esprimerci

  • Postato il 24 settembre 2025
  • Di Il Foglio
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Tocca rassegnarsi: saremo sempre meno liberi di esprimerci

Stanotte Jimmy Kimmel è tornato in onda su Abc, ma niente sarà più come prima. La ferita c’è stata, di certo continuerà a sanguinare, forse sarà mortale per il diritto di parola nel paese che ne aveva fatto il Primo Emendamento – ricordiamoci che Kimmel era solo il secondo, la censura del tiranno Trump aveva già colpito Stephen Colbert, che fra qualche mese verrà licenziato da Cbs. Ovviamente, nel mondo paradossale che viviamo, a colpire la libertà d’espressione sono proprio coloro che si sono riempiti la bocca in sua difesa.

Temo che indignarsi serva a poco: bastasse l’indignazione, avremmo risolto tutti i problemi del mondo con le stories e i post sui social. Ovviamente possiamo provarci, anzi dobbiamo, a salvare il salvabile conducendo battaglie politiche e civili, ma dovremmo parallelamente, da animali adattivi quali siamo, fare i conti con un mondo che si andava sempre più avvicinandosi negli scorsi anni, e che ormai è arrivato a concretizzarsi: un mondo, cioè, dove non si è più liberi di dire ciò che si pensa, pena la “sospensione a tempo indeterminato” – se non proprio la soppressione fisica o la carcerazione: a questo nell’emisfero occidentale dobbiamo ancora arrivare, ma è solo questione di tempo. Non considero infatti Charlie Kirk un “martire” della libertà di parola, come sostiene la propaganda: quando nel 1960 un uomo uccise una donna e disse di averlo fatto dopo aver visto “Psycho”, Alfred Hitchcock fece notare che quest’uomo prima dell’uscita del suo celebre thriller aveva già ucciso altre due donne, “e vorrei sapere i titoli dei film che ha visto prima” fu la chiosa del regista. E questa arguta osservazione, nel paese dove in passato ben due presidenti degli Stati Uniti sono stati uccisi con armi da fuoco, vale anche per lo psicolabile, e armato, Tyler Robinson. E’ una tragedia, certo, ma non facciamone un dramma: anche lì dove è arrivata, la libertà di parola non è mai stata liberissima – negli Stati Uniti c’è già stato, per esempio, il precedente di Lenny Bruce, per citare solo il più noto fra i comici perseguitati nel paese del Primo Emendamento.

Insomma, diciamoci la verità – fintanto che ce la possiamo ancora dire: eravamo liberi di dirci liberi, ma un po’ meno di esserlo e praticarlo. E questo per una semplice, puerile ragione: la libertà di parola ci piace solo quando viene liberamente detto qualcosa con cui siamo d’accordo. A nessuno invece piace sentirsi dire opinioni diverse dalle proprie, sia a “destra” che a “sinistra”. Quindi? Quindi, da comico – da persona cioè che ha sempre saputo che la libertà di parola era un diritto ipocrita, che nella realtà è un’acrobazia da esercitare con fatica e se disposti a pagarne il prezzo – lasciate che vi inviti a riscoprire la carboneria, o gli speak easy, per dirla in maniera più sexy: torniamo cioè a coltivare la parola lì dove il terreno è ancora fertile, lì dove il seme può attecchire, nella speranza che questa libertà possa essere una pianta infestante e allargarsi come avvenne nel secolo scorso. Non sarà facile, perché nel frattempo la repressione è cambiata: al popolo – che non si sa esprimere – sarà lasciata la “libertà” dei social, per mantenere la facciata di quel diritto; mentre a essere colpita è l’élite di chi le cose le sa dire in modo efficace – perché uno non vale uno, con buona pace. Niente è mai perduto, la Storia è e sarà fatta di corsi e ricorsi, quindi forza e coraggio. Magari però la prossima volta che saremo disposti a riconoscere la libertà d’opinione, ricordiamoci di garantirla a tutti, non solo a chi ci piace. E che il diritto non è mai un obbligo; quindi, se e quando riavremo la libertà di parola, non inflazioniamola. 
 

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Autore
Il Foglio

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