Torture, decapitazioni e stragi di touareg e peul in Mali: il report consegnato alla Corte dell’Aia – Esclusiva

  • Postato il 16 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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In Mali è in corso una pulizia etnica: così documenta un dossier, che Ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare in esclusiva, depositato alla Corte Penale Internazionale dove è già aperto un procedimento sul paese saheliano. Dopo la denuncia della rivista Jeune Afrique delle atrocità commesse dagli uomini di Wagner in Mali, emerge un dossier prodotto da una ricercatrice italiana che chiede l’anonimato per non mettere in pericolo le fonti. Insieme a loro, infatti, ha prodotto 87 pagine sulle gravi violazioni dei diritti umani depositate alla CPI il 5 aprile scorso: la dottoressa ha raccolto e strutturato testimonianze, documenti video e audio e rilievi forniti da esperti locali, confrontandoli con documenti d’archivio, testi storici, scientifici e studi militari. Ciò che ne emerge è la documentazione di una pulizia etnica in corso ai danni delle popolazioni nomadi, principalmente di etnia tuareg e (in misura minore) peul. Un dramma quasi sconosciuto, poiché accade in pieno deserto, lontano dagli sguardi. Solo alcuni gruppi Facebook legati alle milizie russe che contribuiscono a questa carneficina documentano l’accaduto: Ilfattoquotidiano.it ha deciso di non diffondere immagini e video perché troppo cruente.

“Sono giunta a Timbuctu oltre vent’anni fa – racconta la ricercatrice a Ilfattoquotidiano.it – per un progetto di conservazione dei manoscritti saharo-saheliani, dal 2003 al 2008. Un periodo di pace e grandi aspettative rapidamente disattese. Dopo la crisi libica, la situazione securitaria si è rapidamente deteriorata fino agli scontri del 2012-14, che hanno portato all’intervento di truppe internazionali. Nel 2019 sono diventata consulente scientifica per ong e associazioni civili indipendenti che collaboravano con la missione Onu in Mali (Minusma) per il peacekeeping. Il regime militare di Assimi Goita, insediatosi nel 2020, ha imposto due anni dopo la partenza delle coalizioni internazionali, seguita da quella della Minusma nel 2023. È allora che sono iniziati i terribili fatti oggetto del mio lavoro di documentazione, aggravatisi soprattutto dopo la presa di Kidal. Dal 2021 dirigevo un gruppo di lavoro formato da personale locale di differenti professioni (sanitari, etno-linguisti, intellettuali, cooperanti, responsabili della sicurezza) che elaborava strategie di coesione sociale. Nel 2023, nonostante l’interruzione dei programmi Onu, alcuni membri del gruppo hanno continuato spontaneamente l’attività, rilevando violazioni dei diritti umani e crimini di guerra. Il gruppo di studio si è trasformato progressivamente in gruppo di monitoraggio, di cui ho centralizzato e strutturato i dati per circa due anni”.

Da quel momento, alla ricercatrice si è aperto un mondo che non conosceva in maniera così approfondita, pur avendo vissuto a lungo nel Paese: “Pur sapendo delle discriminazioni delle popolazioni nomadi del nord, fino al 2023 io stessa ignoravo la vastità e la ciclicità del dramma dei tuareg del Mali – spiega – Nell’agosto di quell’anno amici della regione di Timbuctu e Kidal mi hanno chiamata dicendomi che stavano scappando in Mauritania. In 48 ore interi clan di pastori nomadi, allevatori, artigiani pacifici sono fuggiti, prevedendo il disastro in arrivo. Qualche settimana dopo sono iniziati i pogrom. Uccisioni di civili, massacri di campi nomadi e villaggi semi-sedentari, torture, arresti arbitrari seguiti da esecuzioni sommarie”. Ma non solo: “Una delle tecniche di riduzione etnica è la distruzione delle risorse. Uccidono gli animali, avvelenano i pozzi che nel deserto equivale a sterminare o costringere alla fuga decine di migliaia di persone. Una tecnica documentata già dagli Anni 60”. Parliamo dell’uccisione di decine di migliaia di capi di bestiame, fra ovini, caprini (dei tuareg) e bovini (dei peul). Ne esiste un censimento parziale, allegato al rapporto. “Anche il calo della prolificità è un indicatore di pulizia etnica. Qui, mentre le altre etnie aumentano, i tuareg sono sempre meno, ormai sotto gli 1,2 milioni. Ciò che accade ora è solo l’ultima ondata di un programma di riduzione etnica iniziato già con il primo presidente del Mali, Modibo Keita, e ripreso ciclicamente negli anni da altri governi. Quelle che da allora vengono presentate come ‘ribellioni’ tuareg non sono altro che la reazione ai tentativi di riduzione etnica, a loro volta seguite da sanguinose repressioni”.

Le violenze in atto sono attestate anche dagli indicatori demografici: la popolazione della regione di Kidal dal 2013 al 2023 è sempre cresciuta in maniera abbastanza costante. Poi, all’improvviso, è passata da 98.433 residenti nel gennaio 2023 a 26.633 nel gennaio 2024. “Non tutti morti, ovviamente – spiega la fonte – Quelli che mancano all’appello sono tutti scappati nei Paesi vicini. Nel campo profughi di M’Bera, poco oltre il confine mauritano, secondo i dati ufficiali i rifugiati erano 102.353 al 31 marzo 2024 (112.827 con le persone accampate nei dintorni). Il 77% di loro viene dalla regione di Timbuctu. Ma se nel distretto di Timbuctu ci sono un 45% di songhoy (l’etnia sedentaria che per secoli ha convissuto pacificamente coi tuareg) e un 25% di tuareg, nel campo di M’Bera i tuareg sono il 55%, seguiti da ‘arabi’ (popolazioni di origine nordafricana) col 29%, peul col 12% e solo un 4% di altre appartenenze. La componente etnologica del campo non è conforme a quella del nord del Mali. Secondo il governo scappano per l’insicurezza, ma in realtà i profughi sono peul e tuareg. Se ci fosse un pericolo generalizzato, scapperebbero tutti, anche i songhoy”.

LA PRESA DI KIDAL – La città di Kidal, nel nord del Mali, era all’85% tuareg. Il gruppo indipendentista tuareg CSP (Cadre Stratégique Permanent) nel 2015 aveva firmato con il governo centrale l’Accordo di Algeri che riconosceva l’autonomia alla popolazione locale. Nel 2023, a partire da agosto, la situazione si è fatta sempre più tesa. La giunta militare di Assimi Goita aveva chiesto la chiusura della missione Onu, accusata di complicità con gli indipendentisti, e il 30 giugno 2023 il Consiglio di Sicurezza Onu aveva votato per il suo ritiro progressivo nei sei mesi seguenti: “È stato allora che sui social sono iniziati a circolare post di incitamento all’odio. Non appena la Minusma ha lasciato Kidal, il 31 ottobre 2023, il governo maliano ha rotto unilateralmente l’accordo di Algeri e, sostenuto dai combattenti della Wagner, ha puntato alla ripresa della città. Nessuna ribellione era in atto”.

La narrazione governativa dice che Kidal è caduta in 7 giorni. “In realtà il governo centrale ha rotto gli accordi senza preavviso e il CSP è stato preso alla sprovvista. Dopo 7 giorni di bombardamenti ininterrotti sui civili, le truppe del CSP hanno lasciato la città senza subire alcuna perdita. Le Forze Armate del Mali dichiararono di aver distrutto con il primo bombardamento con droni cinque pickup di terroristi. I target erano invece un complesso scolastico e il Consiglio regionale in riunione”. Nel dossier sono allegate le foto dei corpi delle vittime, fra cui diversi ragazzini e bambini. “Appena entrati in città hanno ucciso il maestro e il governatore, originario di Bamako, probabilmente per non lasciare testimoni. La scuola e il Comune erano vicini alla base Oni di cui i militari e i Wagner volevano il possesso, non solo per il valore strategico ma perché le ex-basi Minusma sono utilizzate come campi di detenzione arbitraria e tortura”. Prosegue la fonte: “Nonostante la ‘liberazione completa’ di Kidal, le violenze sono proseguite per undici settimane, bombardando con droni e provocando solo vittime civili nell’unica città a predominanza tuareg. Per tre mesi e mezzo esercito e Wagner hanno infierito su popolazioni inermi, invocando anche il metissage forcé, ovvero l’invito a violentare le donne tuareg per avere bambini ‘misti’: la ‘soluzione al problema identitario tuareg’ già invocata dal primo presidente Madibo Keita”.

I JIHADISTI – Tutto questo, ufficialmente, in nome della lotta al terrorismo. I gruppi armati terroristi in Mali sono due: JNIM (Jama’at Nusrat al Islam wa al Muslimeen) e EIGS (État islamique au Grand Sahara) e ognuno di essi non supera i 6mila membri. Le Forze Armate invece contano 35mila effettivi. Spiega la ricercatrice: “Secondo le informazioni locali, ci sono qualche decina di tuareg in EIGS e solo qualche centinaio di combattenti tuareg si trovano ancora in JNIM, gruppo jihadista ora a dominanza peul, ma nel quale ormai si trovano anche bambara (l’etnia maggioritaria del sud del Mali) e persino stranieri, come sudanesi, houssa dal Niger, siriani, algerini, saharawi, libici e pure alcuni europei di al-Qaida. Per un decennio si è parlato di jihadisti peul e tuareg che massacrano la popolazione locale, senza precisare che il 75% della popolazione locale è tuareg e peul. I nomadi della regione non si riconoscono nelle azioni dei jihadisti, anzi se ne sentono vittime e li accusano di aver screditato la loro causa e di aver distrutto gli equilibri già fragili della regione”.

I MERCENARI RUSSI – Preannunciati a fine 2021, i primi istruttori russi sono giunti in Mali nel 2022. “Dal loro arrivo hanno impresso una svolta brutale alle azioni delle Forze Armate. La Minusma, che segnalava gli abusi crescenti, è stata accusata di prendere le parti del CSP. Dopo la partenza della missione Onu da Kidal, nessun osservatore internazionale ha più documentato le violenze”. È noto che, a partire dall’estate 2022, tra le fila dei Wagner siano a più riprese stati reclutati detenuti nelle carceri russe, inviati in prima linea in Ucraina in cambio dell’amnistia. Dopo la morte del loro capo Yevgeny Prigozhin, i mercenari si sono uniti al battaglione ceceno Akhmat, come aveva dichiarato nel novembre 2023 lo stesso comandante del battaglione, Apti Alaudinov. “Prima della marcia su Mosca – prosegue la ricercatrice – i Wagner avevano ottenuto di prendere degli uomini dalle prigioni e farli andare sul fronte ucraino. Molti di questi prigionieri russi e soprattutto ceceni sono poi finiti in Africa. La pratica delle teste impalate – di cui si è parlato a proposito dei gruppi Telegram – è un modus operandi della mafia cecena, un loro metodo di intimidazione riconosciuto. I Wagner giravano con delle teste mozzate appese ai pickup per terrorizzare la popolazione”.

Nel fare tabula rasa in alcuni territori c’è un interesse anche molto pratico per la Russia: “Kidal è un’importante regione aurifera, i Wagner sono presenti da tempo nei siti estrattivi e usano i proventi per finanziare la guerra in Ucraina, schiavizzando i songhoy nelle miniere d’oro. Lo dimostrano foto dei siti estrattivi che sono state allegate al rapporto inviato all’Aia”. Il 6 giugno scorso, la Wagner ha ufficialmente concluso il suo lavoro in Mali. Al suo posto subentra Africa Corps, che dipende direttamente dal Ministero della Difesa di Mosca. “Ma è un cambio di facciata – spiega la ricercatrice – In realtà l’85% degli uomini restano in Mali e cambiano solo nome, entrando in Africa Corps. Già mi arrivano segnalazioni di nuovi massacri con le stesse modalità”. A confermare questa alternanza fittizia è anche una recente pubblicazione dell’International Crisis Group che parla di “70-80% di personale Africa Corps che sono ex combattenti Wagner”. Approfondendo quest’ultima affermazione, ilfattoquotidiano.it ha scoperto l’esistenza di due pagine Facebook che fanno riferimento ai soldati russi in Africa e che postano copiosamente foto e video di atrocità commesse in Mali, ma anche in Burkina Faso e altri Paesi in cui sono presenti i Wagner.

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