Tra presente e futuro, viaggio nei laboratori del Teatro alla Scala

  • Postato il 21 giugno 2025
  • Di Il Foglio
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Tra presente e futuro, viaggio nei laboratori del Teatro alla Scala

In via Bergognone, all’angolo con via Tortona, a Milano, c’è un luogo importantissimo per la vita artistica della città, ma che forse non tutti i milanesi conoscono: i laboratori del Teatro alla Scala. Dal 2001 sono ospitati presso l'ex insediamento industriale delle acciaierie Ansaldo. Più di 20mila metri quadri, dove nasce gran parte degli allestimenti scenici e dei costumi che vediamo risplendere sul palco del Piermarini. Scenografia, scultura, termoformatura, falegnameria, officina meccanica, assemblaggio scene, sartoria, elaborazione costumi, lavanderia. Oltre a un tesoro composto da circa 60mila costumi di scena.

  

Ruggero Bellini, direttore dei laboratori del Teatro alla Scala, ci ha raccontato il presente e anticipato qualcosa sul futuro di questa fucina di bellezza e di creatività. “Nei laboratori operano circa 137 persone a tempo indeterminato e sono suddivisi in due grandi padiglioni: uno dedicato alla scenografia vera e propria, e l’altro ai costumi e al loro immagazzinamento”.

  

Sono i padiglioni Benois e Caramba. Intitolati il primo al grande scenografo Nicola Benois; il secondo a Luigi Sapelli, detto “Caramba”, scenografo e costumista altrettanto illustre. Entrambi furono direttori degli allestimenti scenici della Scala.

 

Mentre li percorriamo, accompagnati da Bellini, ovunque ferve l’attività per le prossime produzioni. Ma quanto tempo richiede creare le scenografie e i costumi per ciascuna opera? “Questo può variare molto”, ci risponde lui. Dipende dall’opera e da chi la crea. “In media, diciamo che ci vogliono dai due ai tre mesi”.

 

Abilità tradizionali e nuove tecnologie: come si combinano nei laboratori? “Il nostro è un lavoro assolutamente artigianale - ci tiene a precisare Bellini -, sia per la realizzazione dei costumi che delle scenografie. C’è da ricordare che ogni scenografia, oppure i costumi che realizziamo, sono dei prototipi”. Insomma, ci spiega, non si fanno ad esempio mille “Norma”, o cento “Norma”: se ne fa una. Una “Norma” di quello scenografo, o di quel bozzettista. E se anche la Scala allestisce due “Norma” in tempi diversi, saranno due “Norma”, l’una diversa dall’altra. Ciò detto, anche qui ci si avvale di nuove tecnologie. Tutti i disegni tecnici vedono la luce su software moderni. Non solo. Bellini ci spiega che, quando si tratta di realizzare molti oggetti simili, in serie, ci si affida a macchine che lavorano il legno e il ferro a controllo numerico, quindi con l’ausilio del computer. Per il resto, si rimane assai fedeli alla manualità e all’artigianalità, ci assicura.

 

Quasi tutte le mansioni che vengono svolte nei laboratori vengono apprese in corsi di specializzazione tenuti dall’Accademia del Teatro alla Scala. Certo, poi c’è chi vuole fare, ad esempio, lo scenografo, e proviene da corsi di studio come quelli che si tengono all’Accademia di Brera o all’Accademia delle Belle Arti, per poi frequentare un biennio di specializzazione presso l’Accademia della Scala. Lo stesso vale per la scultura. Discorso a parte per la falegnameria. Quella che si fa nei laboratori è “più una carpenteria specializzata”, puntualizza Bellini. Le persone giuste tocca trovarle e formarle. “E anche qui ci viene in aiuto l’Accademia”. La stessa cosa vale per i costumi.

 

Chissà se si comincia ad avere problemi nel trovare nuovi lavoratori giovani. Lo chiediamo al nostro cicerone. E lui ammette: “Stiamo iniziando a trovare un pochino di difficoltà. Un po’ per la scarsità di persone che vogliono fare il lavoro manuale, un po’ per la non conoscenza di cosa si fa all’interno di un grosso teatro”. Fare il fabbro o il falegname per la Scala è un lavoro del tutto particolare; così come fare il costumista alla Scala, tagliare un costume storico, non è come fare alta moda. Non è come realizzare abiti moderni. È una cosa diversa, che va insegnata “all’interno”. E anche in questo, ribadisce Bellini, sta la fortuna è di poter formare personale.

 

All’inizio accennavamo al futuro di questi laboratori. Che potrebbe essere in un’altra parte della città, nell’area ex Innocenti nel quartiere Rubattino. Potrebbe. Se saranno reperiti tutti i 120 milioni di euro necessari al progetto. Intanto possiamo solo sognare a occhi aperti la nuova sede, rinnovata e ampliata. Ma cosa cambierebbe, concretamente? Ce lo spiega Bellini. Riassumendo: verranno ospitati nello stesso luogo sia i laboratori, sia i magazzini in cui si tengono le scenografie. “E questo taglierà tutti i trasporti che ci sono tra il magazzino e il laboratorio: trasporti necessari anche quando rimettiamo in scena un’opera di repertorio, quindi già realizzata ma che deve ritornare in scena, e che deve necessariamente passare per il laboratorio per essere rinfrescata, riguardata, ristirata, risistemata e pulita”.

 

Vedremo. Nel frattempo, qui in via Bergognone il lavoro non si ferma.

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Autore
Il Foglio

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