Tregua a Gaza, Hamas pronto ad accettare la proposta: il piano in 6 fasi con la supervisione di Trump
- Postato il 4 luglio 2025
- Di Panorama
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Secondo quanto riportato dal quotidiano saudita Al-Sharq Al-Awsat, Hamas sarebbe intenzionato ad accogliere la nuova proposta di cessate il fuoco con Israele. Fonti interne al movimento islamista hanno riferito che una risposta positiva potrebbe giungere già oggi, dopo che i vertici dell’organizzazione hanno iniziato a informare i principali attori regionali e internazionali circa le proprie intenzioni. Da parte sua, Donald Trump ha dichiarato che una risposta ufficiale potrebbe arrivare entro le prossime 24 ore. La proposta, secondo quanto rivelato dall’emittente egiziana Al-Rad, prevede un piano articolato della durata di sessanta giorni, supportato da garanzie fornite da Egitto, Qatar e Stati Uniti. Il documento prevede anche un coinvolgimento diretto del presidente Donald Trump, che assumerebbe un ruolo di supervisione politica nella fase di attuazione dell’intesa.
Nel dettaglio, il piano stabilisce che nel primo giorno della tregua Hamas libererebbe otto ostaggi vivi, mentre le Forze di Difesa Israeliane (IDF) inizierebbero un graduale ritiro dal nord della Striscia di Gaza. Dopo sette giorni, Israele riceverebbe i corpi di cinque ostaggi deceduti. Al decimo giorno, Hamas fornirebbe dati clinici e prove mediche sullo stato di salute dei prigionieri ancora detenuti, mentre Israele trasmetterebbe a sua volta informazioni sui detenuti palestinesi arrestati a partire dal 7 ottobre 2023. Le fasi successive dell’accordo prevedono ulteriori scambi: al trentesimo giorno il trasferimento di altri cinque corpi, al cinquantesimo la liberazione di due ostaggi vivi, e al sessantesimo la consegna di altri otto corpi. Parallelamente, Israele faciliterebbe l’ingresso immediato di aiuti umanitari nella Striscia e continuerebbe il proprio disimpegno militare verso sud. Questi elementi costituiscono, secondo Hamas, i punti fondamentali per accettare l’intesa. Durante i due mesi di tregua, le parti dovrebbero inoltre avviare colloqui su dossier più ampi, tra cui la liberazione degli ultimi ostaggi, le misure di sicurezza per il futuro della regione, la governance post-Hamas a Gaza e l’eventualità di un cessate il fuoco definitivo.Trump, da parte sua, ha ribadito pubblicamente che la risposta di Hamas è attesa nell’arco di 24 ore. Parlando ai giornalisti prima di partire per l’Iowa dalla base di Andrews, ha dichiarato: «La popolazione di Gaza ha vissuto un inferno». E ha evitato di rispondere direttamente alla domanda se gli Stati Uniti intendano assumere il controllo amministrativo della Striscia: «Voglio che la gente di Gaza sia al sicuro, è la cosa più importante».
Tuttavia, sebbene l’accordo sembri avviarsi verso un possibile esito positivo, restano molte incognite. Come spesso accaduto in passato, Hamas potrebbe firmare il patto per poi farlo naufragare, attribuendo il fallimento a motivazioni pretestuose qualora le sue richieste principali venissero ignorate. Tra queste, la restituzione della gestione degli aiuti umanitari all’ONU – rimuovendo la Fondazione GHF, accusata di aver infranto il sistema di controllo clientelare costruito da Hamas sulla distribuzione degli aiuti – e la garanzia personale, da parte di Donald Trump, che i leader del movimento islamista non verranno eliminati dal Mossad una volta cessate le ostilità. Ma su questo nessuno darà mai questa assicurazione. Un altro nodo cruciale riguarda i vertici di Hamas rifugiati a Doha. Tra questi spiccano Khaled Mashal, attuale presidente del politburo dal 16 ottobre 2024, insieme a Khalil al-Hayya, Mousa Abu Marzook, Muhammad Ismail Darwish, Husam Badran e Zaher Jabarin – quest’ultimo responsabile delle operazioni di finanziamento del movimento. I capi di Hamas pretendono garanzie che i loro ingenti patrimoni personali non vengano colpiti da Israele o dagli Stati Uniti. Su questo punto, però, sia Israele che Trump si sono mostrati inflessibili: nessuna garanzia verrà offerta. In linea con l’orientamento della Casa Reale saudita – destinata ad assumere la supervisione della Striscia nella fase postbellica – l’ex presidente Trump è contrario a qualsiasi soluzione che preveda la presenza di membri di Hamas a Gaza, ritenendo imprescindibile la loro totale estromissione.
Altri clan contro Hamas
Mentre la guerra interna nella Striscia di Gaza si intensifica, nuovi attori emergono nel conflitto sotterraneo contro Hamas. Secondo quanto riportato da fonti citate da Ynet, Israele starebbe fornendo armi e supporto logistico a due clan rivali, entrambi riconducibili a Fatah e ostili al movimento islamista. Il primo è il clan Khalas, collegato all’attivista gazawi Rami Khalas e ad Ahmad Khalas, membro del Comitato Centrale di Fatah. Questo gruppo sarebbe attivo nel quartiere di Shejaiya, a Gaza City, dove ha intrapreso operazioni contro Hamas. Una seconda fazione, guidata da Yasser Khanidak e anch’essa considerata vicina a Fatah, opererebbe invece nell’area di Khan Yunis. Le due formazioni, armate e sostenute da Israele, rappresenterebbero una minaccia crescente per il controllo di Hamas sulla Striscia. Nel mirino di Hamas c’è anche la milizia guidata da Abu Shabab, che secondo alcune stime conterebbe circa 400 uomini. Il gruppo è sospettato di ricevere anch’esso sostegno militare da Israele e sarebbe attualmente impegnato in un’azione progressiva per cercare di prendere il controllo della città meridionale di Rafah. In risposta, il 3 luglio Hamas ha lanciato un ultimatum di dieci giorni al leader della fazione, Yasser Abu Shabab, intimandogli di arrendersi e di affrontare un processo per tradimento. La risposta della milizia, composta in gran parte da combattenti di origine beduina, non si è fatta attendere: ha liquidato le minacce del movimento islamista definendole una «sitcom».