Trovare una casa accessibile in Italia è una missione impossibile

  • Postato il 2 giugno 2025
  • Di Il Foglio
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Trovare una casa accessibile in Italia è una missione impossibile

Trovare una casa accessibile in Italia è diventata una missione impossibile per chi non ne possiede già una. Risultato di precise scelte politiche ed economiche che hanno trasformato la casa in un privilegio. Dal 2008, mentre i nostri stipendi ristagnano o addirittura diminuiscono (l’Italia è l’unico paese europeo dove le retribuzioni reali nel 2023 sono inferiori a quelle del 2013), i costi abitativi sono schizzati alle stelle. La forbice tra salari e costi abitativi che si allarga sempre più: se i nostri genitori potevano permettersi di comprare casa con un salario medio, oggi  non è più possibile. Oggi, contrariamente ad alcuni decenni fa, avere una casa è diventato un pre-requisito per trovare un lavoro: senza una casa, in città come Roma, Bologna e Milano, è impossibile studiare da fuorisede, laurearsi, trovare un lavoro. 

Il motivo non è solo l’inflazione. E’ soprattutto l’esplosione della rendita immobiliare: il valore del suolo urbano è aumentato vertiginosamente, e ha fatto lievitare i prezzi delle case. La casa è diventata un investimento finanziario, non un luogo dove vivere. La speculazione immobiliare, fino a poco tempo considerata socialmente inaccettabile, è diventata il perno dell’economia urbana. 

I dati raccontano una storia inequivocabile: nel 2023, il 60 per cento degli acquisti immobiliari è avvenuto senza un mutuo. Contemporaneamente, l’acquisto di prime case è calato dell’11 per cento, mentre il mercato delle seconde case è rimasto stabile. Tradotto: chi è già ricco e possiede immobili ne acquista altri come investimento, mentre chi cerca una prima casa è sempre più escluso. Questo modello economico, che si basa non più sulla produzione e la vendita di beni di consumo, ma sull’estrazione di ricchezza dall’esistente, per esempio dalle case e dalle città in generale attraverso il turismo, non impatta tutti allo stesso modo: alcuni, pochi, che posseggono terreni e immobili in luoghi attrattivi, si arricchiscono molto, mentre moltissimi si impoveriscono perché la vita diventa più costosa e i beni e i servizi pubblici scompaiono, privatizzati e messi in vendita. Questa disuguaglianza sta ridisegnando le nostre città: i centri si svuotano di residenti per riempirsi di turisti e investitori, costringendo i lavoratori a spostarsi e a percorrere distanze sempre maggiori per recarsi al lavoro, con costi economici e ambientali enormi scaricati sulla collettività. L’estrazione di rendita da parte di chi compra pezzi di città per guadagnare dall’aumento dei costi abitativi sta cacciando proprio i lavoratori essenziali che mandano avanti l’economia urbana. 

Questo processo è promosso attivamente dalla politica italiana, che per decenni ha puntato quasi esclusivamente sul sostegno alla proprietà privata come strumento di consenso elettorale. Ma questo modello favorisce chi ha di più e aumenta le disuguaglianze. Parallelamente, l’edilizia residenziale pubblica è stata smantellata e il patrimonio pubblico svenduto.

E’ ora di cambiare rotta. Abbiamo bisogno di politiche per l’affitto sociale, non solo incentivi all’acquisto che favoriscono chi ha già capitali. Bisogna interrompere i piani di vendita del patrimonio pubblico e tornare a investire in edilizia residenziale pubblica, regolamentare gli affitti brevi turistici e mettere un tetto all’aumento degli affitti, se vogliamo che le città continuino a essere abitate da giovani, studenti e lavoratori. Si può fare: molte città nel resto d’Europa stanno attuando queste misure. La casa non può continuare a essere un bene di lusso o uno strumento di estrazione di rendita. Senza casa non c’è futuro.

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Autore
Il Foglio

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