Trump, Epstein e la lettera del peccato: “È un falso, vi querelo tutti”. E intanto minaccia di desecretare i file del caso

  • Postato il 18 luglio 2025
  • Di Panorama
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La politica americana è un thriller senza sceneggiatura, dove il colpo di scena è sempre dietro il prossimo post su Truth Social. E così, a sorpresa ma neanche troppo, Jeffrey Epstein torna dall’aldilà con una lettera oscena firmata – si dice – da Donald Trump. Solo che The Donald non ci sta: nega, urla al complotto, promette querele a raffica e minaccia pure di svelare tutti i segreti sepolti sotto le macerie del caso Epstein.

La miccia? Un articolo del Wall Street Journal, che pubblica una presunta missiva del 2003 firmata Trump, custodita in un album “deluxe” rilegato in pelle da Ghislaine Maxwell per il 50esimo compleanno del finanziere pedofilo. Dentro, parole e disegni al limite del surreale: silhouette di donne nude, battute criptiche e una firma piazzata dove non batte il sole.

Trump esplode: «È un falso. Farò causa a Murdoch, al WSJ, a NewsCorp e pure al tizio che ha comprato l’album su eBay». (Questa l’ha solo pensata, ma il tono è quello.)

Quando i peli pubici diventano un caso presidenziale

La lettera, battuta a macchina, è una specie di cabaret perverso tra Trump ed Epstein. Una conversazione immaginaria degna di uno sketch uscito male: “Gli enigmi non invecchiano mai”, “Un amico è una cosa meravigliosa”, “Possa ogni giorno essere un altro meraviglioso segreto”. E poi il colpo di genio: la firma di Trump usata come rappresentazione dei peli pubici di una donna disegnata a tratto. Cose che nemmeno Duchamp sotto acido.

Il WSJ giura che l’album fu tra i materiali esaminati dagli investigatori ai tempi dell’indagine. Ma il Presidente – versione Furiosa – passa subito all’attacco: «Notizia falsa, Murdoch lo sapeva, Tucker pure. Gli avevamo detto: quella lettera non è nostra. Non ascoltano, ora si beccheranno una bella querela. E forse anche qualche segreto».

“Vi faccio vedere i file”. Pam Bondi e la svolta hard transparency

Trump, che nel frattempo ha ordinato alla ministra della Giustizia Pam Bondi di desecretare le testimonianze del Grand Jury sul caso Epstein, minaccia la madre di tutte le ritorsioni: “Vi faccio saltare il tappo dei file Epstein”. Tradotto: la Casa Bianca potrebbe rendere pubblica una parte delle prove raccolte nel caso. Non tutto, certo. Ma abbastanza da far tremare più di un jet privato.

Bondi – che già in passato aveva promesso fuoco e fiamme sul caso Epstein salvo poi dire “era tutto regolare” – adesso annuncia che «oggi stesso pubblicherà le testimonianze». Gli attivisti MAGA esultano. I tribunali molto meno: la gran parte delle vittime è viva, e Ghislaine Maxwell (dalla prigione) sta ancora facendo appello.

La guerra di Trump ai media (e la lettera “fantasma”)

La cosa si complica: Trump chiama il WSJ per smentire. Chiede una copia della lettera. Risposta: non l’abbiamo più. La sua portavoce, Karoline Leavitt, sbotta: «Non hanno nemmeno il documento in mano». Il vicepresidente J.D. Vance, in modalità pitbull, attacca su X: “È una stronzata colossale. Ma davvero qualcuno crede che Trump scriverebbe una cosa del genere?”.

E in effetti la missiva pare più un pastiche di satira anni ’90 che un augurio di compleanno. Ma l’effetto-bomba resta. Perché nell’album “Maxwell Deluxe” ci sarebbero anche lettere di Alan Dershowitz e del miliardario Wexner (Victoria’s Secret), tutti con illustrazioni borderline. Wexner: “Ti do quello che vuoi… eccolo qui” con disegnini inclusi. Dershowitz: “Non ricordo cosa ho scritto, era tanto tempo fa”. Sicuro.

Colbert cancellato, Paramount patteggia, e l’America si sveglia in tribunale

L’America intanto fa i conti con un presidente che minaccia querele come fossero tweet, e con una stampa che cerca di galleggiare tra scoop, veleni e finti auguri di compleanno. La CBS ha appena cancellato il programma satirico di Stephen Colbert, da sempre critico verso Trump. Motivo ufficiale: budget. Motivo reale? Chissà. Intanto Paramount e ABC hanno già patteggiato cause milionarie con la Casa Bianca. L’Associated Press è stata bannata dallo Studio Ovale per non aver chiamato il Golfo del Messico “Golfo d’America”. E questo, incredibilmente, non è nemmeno il punto più assurdo della storia.

Il ritorno di Epstein: non è un fantasma, è un’ossessione

La verità è che Epstein è il fantasma che Trump non riesce a scrollarsi di dosso. Ogni volta che riemerge, la Casa Bianca si ritrova in modalità panico. Non importa se davvero Trump scrisse quella lettera (probabilmente no) o se l’abbia disegnata Maxwell per ridere con gli amici milionari. Quello che conta è l’effetto: un colpo di fango in piena campagna elettorale, a pochi mesi dalle presidenziali.

E se davvero Trump decidesse di aprire la scatola nera del caso Epstein, ci troveremmo davanti a una bomba politica senza precedenti. Ma intanto, in questo luglio americano, tra bikini e complotti, anche una lettera disegnata può cambiare il corso della storia.

Autore
Panorama

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