Trump in Medio Oriente invoca “la fine delle vecchie guerre”. Ma Netanyahu: “Colpiremo con tutta la nostra forza”
- Postato il 13 maggio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“Una terra di pace, sicurezza, armonia, opportunità, innovazione e successi proprio qui in Medio Oriente”. È questo l’obiettivo, almeno quello dichiarato, di Donald Trump esplicitato nel suo discorso al Business Forum di Riyad, in Arabia Saudita, appuntamento del secondo giorno di visita ufficiale nei paesi del Golfo che, oltre al Paese degli al-Saud, toccherà anche Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Pensa alla pace tra Israele e Palestina, a una tregua a Gaza e a un processo di distensione che coinvolga tutto il Medio Oriente. “Voglio mettere fine alle vecchie guerre”, ha detto aggiungendo che “la gente a Gaza merita un futuro migliore“. E ha cercato di riavviare quel processo di avvicinamento tra Israele e i Paesi arabi cominciato nel corso del suo primo mandato e interrotto bruscamente dal conflitto nella Striscia: ha detto che è suo “fervido desiderio” che l’Arabia Saudita “si unisca presto agli Accordi di Abramo“.
Non è un caso, quindi, che si sia rivolto a numerosi attori dell’area, tutti parte di Paesi che hanno costituito quella che è stata ribattezzata la Mezzaluna sciita o Asse della Resistenza. Come l’Iran, col quale ha avviato colloqui per raggiungere un nuovo accordo sul nucleare, dicendo di non voler solo “condannare le scelte passate dei leader iraniani, ma anche offrire loro una nuova e migliore strada verso un futuro molto più promettente”. Ma l’offerta messa sul tavolo non rimarrà lì per sempre: “Voglio un accordo con l’Iran, ma diversamente non avremo altra scelta che infliggere la massima pressione, portando a zero l’export del petrolio iraniano. Ora spetta a Teheran decidere ma la nostra offerta non durerà per sempre”.
Ha poi parlato al Libano, ancora oggi sotto attacco di Israele, dicendosi pronto “ad aiutare a costruire un futuro di sviluppo economico e pace con i suoi vicini”. Si è rivolto anche al nuovo governo siriano, a 24 ore dal bilaterale col presidente Ahmed Hussein al-Sharaa (conosciuto anche col nome di battaglia di Abu Muhammad al-Jolani), ricordando che il Paese “ha conosciuto tanta miseria e morte“, ma adesso “c’è un nuovo governo in cui dobbiamo tutti sperare affinché riesca a stabilizzare il Paese e mantenere la pace”. E ha poi ordinato la fine delle sanzioni alla Siria. Parole meno morbide, invece, per gli Houthi, che “hanno accettato solo pochi giorni fa di smettere di prendere di mira le navi commerciali e così la nostra operazione è terminata. È stato un uso rapido, feroce, deciso ed estremamente efficace della forza militare, li abbiamo colpiti duramente, abbiamo ottenuto ciò per cui eravamo venuti e poi ce ne siamo andati”.
La missione di Trump ha creato enormi aspettative nella comunità internazionale. Ci si aspetta un annuncio roboante, persino una prima proposta di pace per la situazione a Gaza. Tra chi spera nell’efficacia dell’azione del presidente americano c’è anche il patriarca cattolico di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa: “Mi auguro che la visita in Medio Oriente del presidente Donald Trump possa portare sviluppi positivi e diversi in questo ginepraio, in questa situazione dolorosissima e soprattutto che si possa affrontare con chiarezza e determinazione la situazione a Gaza. Innanzitutto dal punto di vista umanitario, quello a cui assistiamo è inconcepibile. Che si ponga fine a questa guerra che dura da troppo tempo. Servono interlocutori seri, credibili, che sappiano risolvere il problema non con le armi ma con il dialogo politico”.
Non sembra essere sulle stesse posizioni, come è evidente ormai da settimane, tanto che c’è chi ha ipotizzato frizioni importanti con Trump, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Mentre le dichiarazioni dei leader puntano a mantenere un clima il più disteso possibile, lui ribadisce che l’esercito israeliano entrerà a Gaza “con tutta la sua forza” nei prossimi giorni, aggiungendo che “non vede uno scenario in cui possiamo fermare la guerra”: “Un cessate il fuoco temporaneo potrebbe verificarsi, ma andremo fino in fondo“, ha precisato. E parallelamente, ha concluso, sta lavorando per trovare Paesi disposti ad accettare i residenti di Gaza che Tel Aviv vorrebbe sfollare: “Abbiamo creato un istituto che permetterà loro di andarsene, ma abbiamo bisogno di Paesi disposti ad accoglierli. È su questo che stiamo lavorando in questo momento”, ha detto stimando che “oltre il 50% se ne andrà” se ne avrà la possibilità.
Chi, invece di condannare il blocco degli aiuti umanitari imposto da Israele, dà la colpa della carestia a Gaza a Hamas è l’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue, Kaja Kallas: “Israele dice che gli aiuti umanitari vengono strumentalizzati da Hamas perché vengono dati a chi è loro vicino, ma allora la risposta è quella d’inondare Gaza di aiuti, in modo che non ci sia un deficit e non possano essere utilizzati come dicono loro”. Diversa la valutazione dell’Onu che accusa lo Stato ebraico di usare la fame come “arma di guerra”, comportamento vietato dal diritto internazionale. A rilanciare la denuncia è il numero uno dell’Unrwa, l’Agenzia che assiste profughi e civili palestinesi, intervistato in visita a Londra dalla Bbc: “Non ho più parole per descrivere la miseria e la tragedia della gente di Gaza che da due mesi non riceve più alcun aiuto – ha detto Philippe Lazzarini – La fame dilaga, le persone sono allo stremo, possiamo aspettarci che dalle prossime settimane la gente muoia più per la mancanza di cibo che per i bombardamenti”.
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