Tutti i dubbi (e gli ostacoli) del piano Trump per Gaza, tra le ambizioni dell’Egitto e i veti del Golfo: “Senza il disarmo di Hamas, nessuna ricostruzione”

  • Postato il 17 ottobre 2025
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“C’è una grande distanza tra la capacità del presidente Trump di imporre un cessate il fuoco a Israele e il suo potere di convincere i paesi arabi e occidentali a inviare truppe o fondi per Gaza”. Lo scrive al Quds al Arabi, giornale arabo basato a Londra, vicino alla causa palestinese. Il nodo cruciale è, infatti, trasformare le parole in fatti. Perché la seconda fase prevista nel piano di pace di Trump, siglato a Sharm el Sheikh appena qualche giorno fa, sembra in stallo. In particolare, a rischio c’è la stabilità della sicurezza interna a Gaza. “C’è la necessità – spiega una fonte della diplomazia egiziana al quotidiano saudita al Sharq al Awsat – di dispiegare forze internazionali per evitare problemi futuri, e su questo punto l’Egitto sta lavorando”.

Il tema a cui si fa riferimento è quello di creare una forza di polizia, d’ordine, palestinese addestrata da Giordania ed Egitto, come stabilito nel secondo capitolo del piano Trump. Ma alcune domande non hanno ancora risposta: Chi parteciperà a questa forza? Quanti soldati ne faranno parte? Quali saranno le regole d’ingaggio? E per quanto tempo resterà a Gaza?

Dal canto suo, il Cairo, che si è ritagliato un ruolo di primordine sul piano politico, sta cercando soluzioni in autonomia. Da tempo, il presidente Abdel Fattah al-Sisi si sta adoperando a cucirsi addosso il ruolo di pacere e far dimenticare alla comunità internazionale le numerose segnalazioni di violazione dei diritti umani nel suo paese.

Questo crescente ruolo del presidente egiziano ha sollevato delle polemiche con i paesi del Golfo arabo. Il risultato è stata la clamorosa assenza al vertice di Sharm del principe Mohammed bin Salman dell’Arabia Saudita; Mohammed bin Zayed degli Emirati Arabi e il sovrano dell’Oman. “La loro defezione inviano un messaggio forte: non sono soddisfatti del modo in cui l’Egitto sta gestendo la questione di Gaza, in particolare Riad”, ha rivelato a Middle East Eye una fonte diplomatica egiziana.

Riad e Abu Dhabi vorrebbero lo smantellamento completo militare e politico di Hamas. Questo perchè entrambe le famiglie reali hanno combattuto negli ultimi anni una strenua battaglia contro ogni forma di islam politico che si collegasse all’ideologia dei Fratelli Musulmani. In aggiunta, a breve l’Egitto organizzerà una conferenza dei donatori nella quale i paesi dovranno mettere sul piatto della bilancia qualche miliardo di dollari per la ricostruzione della Striscia. Ma fonti giordane rivelano che Riad e Abu Dhabi hanno subordinato la loro partecipazione alla ricostruzione di Gaza alla completa smilitarizzazione di Hamas e alla sua esclusione totale dal settore, sia come movimento politico che militare. Questo requisito non è esplicitamente menzionato nel piano di Trump, che richiede sì il disarmo di Hamas e la sua esclusione dall’amministrazione del territorio, ma consente al movimento di rimanere come forza politica e di partecipare a future elezioni.

L’Egitto ha una posizione unica in questa fase delicata, messa costantemente a rischio da forze interne alla Striscia che provano a lottare per il potere. Proprio il Cairo si è ritagliata il ruolo di garante del cessate il fuoco e di supervisionare lo smantellamento militare di Hamas. Oltre al fatto di essere l’unico interlocutore arabo che non riconosce il gruppo ma riesce a parlare con questo.

Quella di al Sisi sarebbe una strategia “calma”, come l’ha definita Ezzat Ibrahim, su al Ahram, maggiore quotidiano egiziano. “I negoziatori egiziani – scrive – hanno deliberatamente evitato di collegare il cessate il fuoco a questioni politiche più ampie, come l’amministrazione a lungo termine di Gaza o il suo status finale”. Questo da una parte sarebbe servito a tranquillizzare Hamas, che vuole credere di avere una prospettiva sul futuro della Striscia, e i paesi del Golfo che si sono visti rimandare le decisioni sul ‘fine vita’ del movimento palestinesi.

Quello che è certo, scrivono molti quotidiani, è che l’Egitto non vuole nessuno svuotamento della Striscia con una emigrazione di massa dei palestinesi nel Sinai – già difficile per via della presenza di gruppi integralisti. Al momento il Cairo aspetta e gioca ad aprire e chiudere il valico di Rafah, facendo passare camion di aiuti verso Gaza con bandiere egiziane attaccate alle pareti dei container. Portano aiuti, con la benedizione di Abdel Fatah al Sisi: “L’uomo della Pace arabo”, lo hanno soprannominato.

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Il Fatto Quotidiano

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