Ucraina, Medio Oriente, Africa. Perché la terza guerra mondiale è a pezzi. L’opinione di Di Leo

  • Postato il 19 giugno 2025
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Oggi c’è una terza guerra mondiale a pezzi, le cui schegge colpiscono ogni continente. Ucraina, dove l’integrità di uno Stato è minata da un’aggressione imperialista. Medio Oriente, dove le democrazie sono sotto attacco sistematico. Africa, dove i jihadisti spezzano popoli e spezzano futuri. La guerra, oggi, non è solo militare. È asimmetrica, ideologica, economica. Dove non arrivano i carri armati, arrivano i mercenari digitali, i trafficanti, gli estremisti, i corrotti. E i confini non sono più le linee che vedevamo sulle mappe: sono porosi, violati, ignorati.

Questo scenario ha visto, nel 2024, oltre 120 conflitti armati attivi nel mondo (fonte: Armed Conflict Location & Event Data Project, ACLED); ha provocato più di 110 milioni di sfollati e profughi (fonte: UNHCR Global Trends 2024); ha riportato nel cuore dell’Europa la realtà della guerra convenzionale ed ai suoi confini una instabilità continua.

Ecco perché la domanda “Homo homini lupus?” non è retorica. È una provocazione drammatica. L’uomo, oggi, è davvero lupo per l’altro uomo: nelle guerre dimenticate del Congo, nella violenza interreligiosa in Nigeria, nella repressione in Iran, nelle fosse comuni del Donbass. Ma se questo è lo scenario, la risposta non può essere il fatalismo. E non può essere l’isolamento. Serve una nuova alleanza internazionale per la civiltà. Una cooperazione forte, selettiva, concreta, capace di agire prima che il disordine diventi guerra.

In questi anni, alcune scelte coraggiose sono state fatte. L’Europa ha smesso – almeno in parte – di limitarsi a osservare. Ha cercato accordi, rafforzato confini, finanziato stabilizzazione. Segnali di consapevolezza che vanno difesi e approfonditi.

Ma la cooperazione non può fermarsi alla gestione dei flussi. Deve puntare sulle cause profonde: povertà strutturale, assenza di istituzioni, penetrazione jihadista, disordine tribale. È lì, nei villaggi del Sahel, nei campi profughi del Ciad, nei quartieri devastati di Aleppo o Khartoum, che si decide se avremo più guerra o più futuro. Noi di Steadfast Ngo lavoriamo proprio in questi ambiti, specialmente in Nigeria. E sappiamo che ogni volta che si stabilisce ordine in un luogo fragile, si spezza un anello della catena della guerra.

È qui che la cooperazione internazionale diventa geopolitica. Non è carità: è strategia. Non è ideologia: è responsabilità. Non è accoglienza cieca: è scelta mirata sul dove investire, valutazione oculata sulle alleanze da stringere, riconoscere a chi dire basta. Non mancano gli ostacoli. C’è chi, sotto l’etichetta umanitaria, porta avanti interessi di parte, ideologie ostili alla civiltà occidentale, modelli di business poco trasparenti. Alcune Ong non aiutano: alimentano il disordine. E questo va detto con chiarezza.

Ma ci sono anche uomini e donne, istituzioni e governi, che stanno cercando una via diversa. Una via dignitosa, determinata, europea. Non sempre rumorosa, ma fondata. A loro va il nostro rispetto, perché hanno compreso che la cooperazione non può essere debolezza, ma affermazione di sovranità e di visione. Come ha detto papa Leone XIV, nel suo primo messaggio al mondo: “Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio…” (Vatican News, 9 maggio 2025).

Non possiamo rispondere al caos con il silenzio. Né al fanatismo con l’indifferenza. Serve una visione europea forte, fondata sulla difesa dei confini e che tuteli ciò che siamo. Perché la guerra non finisce da sola. Si spezza solo se si conoscono profondamente i valori che riteniamo inviolabili. Perché la pace si costruisce, ma quando è necessario la si difende anche. Noi siamo qui per questo. Per ricordare che la civiltà va custodita e che l’uomo non è lupo se sceglie di essere fratello.

Autore
Formiche

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