Ucraina, scoppia la guerra d’intelligence tra Europa e America

  • Postato il 10 giugno 2025
  • Di Panorama
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Uno scambio di prigionieri in più fasi. È l’unico vero accordo che siano riusciti a stringere per ora le forze di Kiev con quelle di Mosca a Istanbul, dove la scorsa settimana è andato in scena l’ultimo giro di walzer diplomatico per avvicinare le parti in una trattativa che non decolla. Del resto, visti dal fronte «i colloqui di pace vivono in un universo parallelo», come dicono i soldati delle prime e seconde linee, che vedono la guerra accelerare anziché rallentare su più fronti.

Le intelligence russa e ucraina in Turchia hanno almeno concordato modalità e tempistiche per la restituzione di centinaia di feriti, specialmente quelli gravi, e dei soldati sotto i 25 anni. «Il primo gruppo di militari russi di età inferiore ai 25 anni è stato restituito dal territorio controllato dal regime di Kiev» ha dichiarato il ministero della Difesa russo. Come per gli scambi precedenti, si è passati dalla Bielorussia con una triangolazione: i reduci russi stanno ora ricevendo assistenza psicologica e medica là mentre, da parte ucraina, i prigionieri saranno liberati nella regione di Chernihiv, vicino al confine bielorusso. È la seconda intesa dopo quella di fine maggio, che ha visto ciascuna parte consegnare all’altra 390 soldati e civili, nel più grande scambio di prigionieri dall’inizio dell’invasione.

A parte ciò, Mosca e Kiev continuano ad accusarsi a vicenda di aver interrotto il previsto rimpatrio delle salme dei soldati morti. Soprattutto, continuano a spararsi senza sosta in varie direttrici: da Sumy a Kharkiv, da Luhansk a Kherson. Dunque, si è capito, la guerra durerà ed è bene calarsi nella parte. O almeno, è quanto sostengono i report dei servizi segreti di numerosi Paesi europei, che hanno consegnato le proprie analisi ai decisori politici della Nato. Riuniti insieme a Bruxelles, si sono convinti ormai quasi tutti che ci aspetta «una guerra di lungo periodo». Dunque, le rispettive intelligence si stanno attrezzando e predisponendosi a un conflitto europeo, che non terminerà in tempi brevi.

In effetti, la vera differenza sul campo la stanno facendo proprio le operazioni d’intelligence militare. Come l’audace ed efficace operazione «Spider Web», quando il primo giugno scorso oltre 100 droni ucraini hanno colpito basi aeree nel profondo del territorio russo, danneggiando diversi bombardieri a lungo raggio con capacità nucleare. Partorita dalla mente del generale Kyrylo Budanov – che ci ha abituato ad azioni a sorpresa spettacolari – l’Ucraina ha fatto della guerra asimmetrica la sua vera e più pericolosa arma per contrastare le forze russe. Intanto però, in attesa di capire come il Cremlino intenda replicare all’umiliazione subita, si registrano dissapori e profonda diversità di vedute anche tra le agenzie occidentali.

Londra e Parigi, ad esempio, hanno a lungo protestato contro la decisione dell’Amministrazione Trump di sospendere la condivisione d’informazioni di intelligence con l’Ucraina: Washington da marzo ha interrotto il flusso di notizie e tecnologie di spionaggio vitali che sino a qui hanno aiutato Kiev a difendersi e a replicare agli attacchi russi. Si può anzi sostenere che senza quelle informazioni – a partire dalle immagini satellitari nei giorni che hanno preceduto l’invasione del febbraio 2022 – l’Ucraina sarebbe forse già capitolata. Sebbene possa trattarsi solo di una sospensione di breve durata, secondo quanto si mormora a Washington, l’irritazione dei due Paesi europei più impegnati nel teatro ucraino (anche e soprattutto con i servizi segreti) è massima.

Specie da quando gli Stati Uniti hanno dirottato verso il Medio Oriente ben 20.000 missili destinati invece alla contraerea ucraina per combattere i droni russi Shahed. Ufficialmente destinati alle truppe americane, c’è chi legge in quella scelta un aiuto indiretto a Israele. Come noto, la posizione sia di Londra che di Parigi è molto critica nei confronti del governo Netanyahu e della sua gestione dell’assedio di Gaza. I due Paesi temono che le simpatie personali del presidente Donald Trump per Bibi Netanyahu e Vladimir Putin possa danneggiare qualcosa che va ben oltre i rapporti personali: l’interesse nazionale. Da qui le discussioni dietro le quinte in Europa. Il retroscena svelato da Le Monde durante la riunione della Single Intelligence Analysis Capacity dell’Ue lo scorso aprile, avrebbe prodotto una nuova strategia europea, che punta a creare «maggiore autonomia» nel campo dello spionaggio e del controspionaggio, per compensare la probabile riduzione di lungo periodo nel flusso di informazioni tra le due sponde dell’Atlantico (la qual cosa, peraltro, non riguarda soltanto la guerra in Ucraina).

Oltre al possibile «buio informativo», ciò che spaventa più le cancellerie europee è essenzialmente il fatto che Washington non abbia inserito la Russia ai primi posti tra le minacce globali e contro l’America (superata da terrorismo, immigrazione e narcotraffico). Inoltre, preoccupa anche il modo in cui Trump gestisce le – ben diciassette – diverse agenzie d’intelligence degli Stati Uniti. I recenti licenziamenti «politici», la furia contro i funzionari «anti-Trump» e la caccia ai «democratici» avrebbero già prodotto degli effetti negativi sul campo, e creato interruzioni di catene di notizie difficili da ripristinare. Tanto l’MI6 quanto il DGSE – le due agenzie di spionaggio per l’estero rispettivamente di Regno Unito e Francia – concordano nel ritenere che le nomine di persone di fiducia del presidente Trump in ruoli apicali del sistema informativo segreto Usa faranno gravi danni e in certi casi comprometteranno rapporti decennali tra agenzie occidentali, poiché molte di queste persone sono del tutto inesperte o quantomeno inadeguate al contesto, e pertanto rischiano di minare il lavoro di anni. E per il futuro.

In sostanza, gli europei ritengono che non ci si possa più fidare dell’America, almeno non finché ci sarà Donald Trump alla guida: la dipendenza del Vecchio Continente dalle informazioni dell’intelligence Usa – così essenziale durante la Guerra Fredda, e proseguita poi sino agli attentati dell’Isis – è da rivedere del tutto. «Chi vuole combattere il Cremlino, non può fidarsi della Casa Bianca» è la nuova regola non scritta nel mondo delle spie.

Autore
Panorama

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