Un film fatto per Bene di Franco Maresco è lo spasso impietoso e travolgente che chiude il Concorso di Venezia 82

  • Postato il 5 settembre 2025
  • Cinema
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 5 Visualizzazioni

Più che un film maledetto è un film BENEdetto. Un film fatto per Bene di Franco Maresco, immensa plateale chiusura del Concorso di Venezia 82, è il naturale intersecarsi tra due mostruosi disarticolatori del discorso: il regista di Belluscone e quel Carmelo Bene qui più pre-testo, sirena ammaliante, inquieto soffio d’archivio. Come nella migliore tradizione mareschiana, Un film fatto per Bene è un film che si vuole fare e che non si riesce a fare. Uno spunto formale che Nanni Moretti, ad esempio, insegue malamente da trent’anni mentre Maresco lo vivifica rimescola scompone e ricompone come nessuno da nemmeno una ventina.

Dato lo storico diluvio estetico di Cinico Tv – un immaginario che tutti ricordano in maniera indelebile, anche a chi gli ha fatto schifo – ecco il terzo episodio di Totò che visse due volte assottigliarsi e infilarsi dentro a Un film fatto per Bene. Ci sarebbe una sceneggiatura pronta su un professore che aveva suggerito a Carmelo Bene l’esistenza passata di un santo che levitava. La lavorazione del film era pure partita con i soldi di Andrea Occhipinti della LuckyRed (sorta di co-protagonista telefonico occulto del film) ma tra temporali, incomprensioni, incazzature, il set è naufragato, chiuso anticipatamente e senza film in mano.

Tocca a Umberto Cantone, sceneggiatore del film, capire che è successo, ma soprattutto salire su un taxi guidato da un’autista che prega di continuo e ritrovare Maresco che è improvvisamente scomparso. Un film fatto per Bene inizia così, con la ricerca fisica del regista, quindi evocativa del film fatto a metà o forse meno. Piovono frammenti esilaranti del pessimismo nichilista mareschiano, le fobie, i rituali anacastici.

La detection sul taxi travolge amici, collaboratori, attori e poi riemerge il girato o quello che è stato fatto, ruvido riconosciuto bianco e nero, fino allo srotolamento della carriera di Maresco, i dietro le quinte acidissimi di Cinico Tv, la blasfemia di Totò, Zeffirelli scandalizzato, la censura, la collaborazione interrotta con Ciprì, Belluscone e la mafia che non si può dire. Poi ancora il set del film su Bene, con il cast costretto a “de-pensare”, slabbrato, sghembio (torna anche Ciccio Mira), la sequenza incredibile del santo sgangherato con asino (bentornato) e la partita a scacchi con la Morte e Antonio Rezza che la anima (“ma tu non sai giocare a scacchi”, gli dice dopo ore di attesa, chapeau), infine gli ultimi scampoli di messa in scena per Bene di nuovo negli studi TVM di Cinico Tv per un ultimo tentativo di far rinascere il film con i mille volti e tentativi di benizzare i de-pensanti attori.

Apice forse supremo: il momento scatologico con l’impellente diarrea del feticcio Francesco Puma. Maresco è letteralmente irrefrenabile. Fa scivolare di continuo il bandolo della matassa narrativa, lo calcia ogni volta qualche metro più avanti, si balocca sornione tra significato e significante, dissacra ogni segno possibile del sacro, deflagra in una sequenza pardon tombale dove seppellisce con una lunga carrellata su delle lapidi il cinema italiano e le ruffianerie digitali: “La tecnologia è il regno dei mediocri” e “un film di questi tempi non si nega a nessuno”. Se Bene differenziava capzioso tra talento e genio, talvolta sembra che Maresco paradossalmente ne possieda i geni di entrambi. Un film fatto per Bene è spasso impietoso e travolgente, è follia destrutturata e libera, è cinema oltre ogni stupidaggine impegnata. Dio è morto, ma Maresco ogni tanto si sente anche molto Bene.

L'articolo Un film fatto per Bene di Franco Maresco è lo spasso impietoso e travolgente che chiude il Concorso di Venezia 82 proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti