Un libro che scappa dai generi e fa dire grazie alla letteratura (e alla poesia)

  • Postato il 14 giugno 2025
  • Di Il Foglio
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Un libro che scappa dai generi e fa dire grazie alla letteratura (e alla poesia)

Ci sono romanzi che è difficile riassumere o anche solo dire di che cosa parlino. Ci sono romanzi che non si può proprio riassumere a costo di tradirne l’intenzione e il senso. Ci sono romanzi che definire romanzi è un affronto. Perché non vogliono rientrare nel genere, anzi in nessun genere. E ci sono libri che si dovrebbero recensire unicamente citandone un lungo elenco di frasi e di suoni, perché somigliano più a una musica che a un racconto tradizionale.

Libri come Casa che eri (Hacca, 150 pagine, 16 euro) di Giorgio Ghiotti, di cui però una cosa si può dire con certezza: narra la giovinezza, l’adolescenza, l’incapacità dolorosa di crescere, il rifiutarsi di farlo, l’essere costretti a farlo. Un tema carissimo a questo scrittore-poeta che ha esordito a diciannove anni con la raccolta di racconti Dio giocava a pallone (Nottetempo) e ha appena superato la trentina. “Pochi hanno capito che il motivo per cui ho insistito su quell’età irredenta è perché nessun’altra è più vicina al fallimento, alla solitudine, alla perdita che è la materia ardente della vita”, scrive a un certo punto di Casa che eri.

Verrebbe da sussurargli non dire così, tu non sai quali fallimenti, perdite, solitudini riserva in seguito l’esistenza, carpe diem, cogli l’attimo. Ma la risposta viene dal libro stesso, più o meno a metà: “…provo orrore per la fissità della vita, e le nuvole sono il solo paesaggio che mi piaccia veramente. Così calmo; eppure non dura”.  E’ proprio questa infatti l’essenza della giovinezza, con il suo disordine amoroso, l’indecisione fra stare e andarsene, il bisogno di carezze e quell’irrequietezza che spinge a scrollarsele di dosso come randagi sotto la pioggia, come bambini disobbedienti che desiderano il perdono pur continuando a tenere il muso.

Ghiotti riesce, sicuramente per la sua natura di poeta, a evocare sentimenti senza dare troppe spiegazioni, senza ovvie descrizioni. Di un incontro fatale dice semplicemente: “Luisa aprì un pacchetto di sigarette sfilandone una; presi dalla tasca un accendino e gliel’accesi con uno di quei gesti che non sono gesti ma simboli”. 
Di fronte a una scena così, si prova gratitudine per la letteratura, che fa echeggiare l’immagine elementare di una fiammella vista innumerevoli volte sulla pagina, in un film, nella vera vita, in un gioco di riflessi infiniti. Senza mai dimenticare la componente ironica che salva da eccessi emotivi, troppo adolescenziali appunto, tipo la costatazione: “Non siamo degli adolescenti in gita scolastica” o la rivendicazione del “diritto di noi checche alla felicità” (detto dando scandalo per un provocante travestimento) o la scoperta che il protagonista di Casa che eri, Aldo Lanari, ha già quarant’anni!

C’è un altro gioco che Giorgio Ghiotti si diverte a intrecciare nelle sue pagine, quello delle citazioni nascoste, che doverosamente denuncia in una nota finale e credo che anche questo sia una necessità della narrazione e insieme un messaggio: tutto ciò che si scrive viene da altro, non necessariamente dalla vita vissuta, ma da altre pagine che abbiamo amato, da altra letteratura. Ed è un discorso tanto più importante - in un mondo che sembra poter fare a meno dell’arte - per ribadirne invece il valore, quasi autonomo, interiore, nutritivo.

Concludo con ancora un gioco. Provate a mettere qualche a capo a quest’altra citazione: “Passarono delle ore come passa tutto. Cosa vedere, chi aspettare lungo il fiume se i proverbi non ci hanno mai salvati, se il fiume è un corridoio bianco di ospedale, troppo bianco, e in cielo tubi di neon che scollano dal volto ogni colore”.
Non è una poesia in versi liberi con un endecasillabo finale?

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Autore
Il Foglio

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