“Un luogo bello” Alessandro Mallamaci in mostra a San Lucido
- Postato il 27 agosto 2025
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Il Quotidiano del Sud
“Un luogo bello” Alessandro Mallamaci in mostra a San Lucido
Il fotografo calabrese Alessandro Mallamaci in mostra a San Lucido con “Un luogo bello”, un palcoscenico diffuso per la fotografia contemporanea
Dal 1° agosto e fino al 12 ottobre 2025, San Lucido (CS) si trasforma in un palcoscenico diffuso per la fotografia contemporanea. Le sedici mostre in programma per l’edizione 2025 del Fotografia Calabria Festival raccontano luoghi reali e immaginati, territori attraversati dalla storia e dalla memoria, identità in movimento, legami familiari, appartenenze ritrovate o negate. Fra questi momenti ci sono visioni più liriche e intimiste, come quella del fotografo calabrese Alessandro Mallamaci, che con “Un luogo bello” restituisce un ritratto affettivo della fiumara Sant’Agata e del paesaggio calabrese. Lo abbiamo raggiunto per parlare della sua ricerca e della sua attività.
Come nasce il progetto del libro fotografico “Un luogo bello”?
«Nasce in maniera casuale, nel senso che io mi sono dedicato alla rappresentazione del paesaggio di un luogo in cui abitavo – la vallata del Sant’Agata – e ho scattato fotografie per i primi quattro anni solo per il piacere di scattarle e per l’amore per la mia terra. Successivamente mi sono interrogato sul tipo di rappresentazione che potesse essere più adatta al mio lavoro, e su come provare ad approfondire il mio rapporto con la fiumara. A quel punto ho deciso di avvicinarmi. Quindi la maggior parte delle foto sono delle sezioni verticali del paesaggio. Questo poi si riflette anche nel formato del libro, che è piuttosto piccolo e l’idea alla base di questa scelta è che chi ha voglia di capire qualcosa del mio paesaggio debba avvicinarsi, guardare da vicino, così come io ho mi sono avvicinato mentre scattavo».
Come si racconta un luogo attraverso la fotografia
«È proprio questa la difficoltà. Esistono tanti approcci possibili. Una tecnica usata dai grandi maestri è quella del ritorno nei luoghi, che ti consente di studiare l’evoluzione del paesaggio. Questo era un luogo in cui io ero immerso e, ciò nonostante, sono tornato diverse volte in alcuni posti, per poi cercare di selezionare le foto che fossero, in un certo senso, più neutre. In fotografia si sceglie un modo in cui rappresentare, si sceglie un punto di vista, si sceglie cosa inquadrare e cosa lasciare fuori dal campo, quindi, in nessun caso si può essere oggettivi o neutrali».
«Però nella mia ricerca, provo sempre a fuggire dai cliché o di conviverci in modo intelligente. Anche in questo caso ho cercato di evitare le foto spettacolari, mi sono concentrato sulla rappresentazione del “banale quotidiano” e di luoghi di periferia senza alcuna apparente bellezza. A tal proposito potremmo dire che in questo caso ho cercato di fare un passo indietro, al contrario rispetto a quanto affermato in precedenza».
L’impatto emotivo quanto conta quando racconti un luogo?
«Sicuramente conta parecchio, però credo che l’esercizio debba essere sempre quello di provare a cercare di avvicinarsi alle cose con neutralità, come dicevo prima. Già scegliere la propria posizione nel mondo, è una scelta estremamente precisa e fa una gran differenza. In generale, sono convinto si debba cercare di non lasciarsi sopraffare dal narcisismo e invece di mettersi al servizio del progetto. Nel caso specifico, “Un luogo bello” è sicuramente un lavoro di fotografia documentaria ma è anche una dedica d’amore al mio paesaggio».
Ho visto che tu tieni anche dei workshop, come si insegna la fotografia?
«È una domanda difficile anche questa. c’è un grandissimo autore – Antoine d’Agata – che sostiene che le scuole fotografie non servano a nulla. La cosa di cui mi sono reso conto è che chi ha il fuoco dentro, chi ha davvero voglia di fare un percorso, andrà avanti a prescindere dalla frequenza di una scuola. Questo è un dato importante secondo me. D’altro canto, però, io mi son dato degli obiettivi precisi, in qualità di docente. Innanzitutto, contesto chi vive la docenza come un mestiere. Dal mio punto di vista si tratta di una vocazione».
«Nel mio percorso di docente ho incontrato grandi talenti che in poco tempo hanno fatto una crescita incredibile e a loro ho provato a dare tutti gli strumenti possibili per aiutarli nel loro viaggio. Ma quello che cerco di fare sempre, è impegnarmi affinché tutti gli studenti e le studentesse di una classe riescano a fare un passo avanti, a prescindere dal loro talento e dal loro livello iniziale. Non è importante che tutti diventino dei geni – né sarebbe possibile – ciò che conta però è che tutti e tutte, al termine del percorso, siano arricchiti e arrivino a una maggiore competenza oltre che consapevolezza delle proprie capacità».
Pensi che la Calabria abbia bisogno di una narrazione diversa?
«Penso che i calabresi abbiano bisogno di venire più a contatto con il lavoro dei fotografi, ma anche degli scrittori, dei registi e di tutte le altre categorie di artisti. È fondamentale nutrire la cultura delle nostre comunità. Ad esempio, un certo tipo di fotografia contemporanea non viene ancora compreso. Va per la maggiore una narrazione che è totalmente basata sul cliché. Sentiamo parlare sempre delle solite problematiche e la maggior parte dei calabresi non sono avvezzi a un tipo di narrazione differente, quindi non saprebbero neanche comprenderla. Ad esempio, ritengo sia utile guardare il nostro paesaggio e parlarne, per poi interrogarci sul perché siamo arrivati qui e cosa possiamo fare per cambiare. Penso siano utili anche dei veri e propri momenti di alfabetizzazione, in cui si impari a leggere le immagini».
«Ad esempio, ho tenuto diverse volte un seminario dal titolo “Cosa Devo Guardare” – titolo ispirato alla battuta di Monica Vitti in un film di Antonioni – e mi sono accorto di quanto sia utile mostrare delle immagini alle persone e chiedere loro cosa vedono. Improvvisamente il mondo sembra capovolgersi. Il solo fatto di soffermarsi su una fotografia per 5 minuti – invece che su 100 immagini al minuto come accade quando abbiamo in mano il nostro smartphone – consente di riuscire a leggere le fotografie, anche a chi non era abituato a farlo, Da un lato, dunque, servono i festival e le occasioni di confronto con le comunità, come il Fotografia Calabria Festival, dall’altro ritengo che momenti di pura alfabetizzazione possano essere altrettanto utili ed efficaci».
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“Un luogo bello” Alessandro Mallamaci in mostra a San Lucido