Un milione per il Museo del terrorismo: l’idea di Mollicone (FdI). I familiari delle vittime: “È un doppione inutile”
- Postato il 3 settembre 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Guardi, quando c’è Mollicone di mezzo bisogna sempre alzare la guardia!”. Paolo Bolognesi, presidente onorario dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980, sfodera la sua ironia quando gli chiediamo un’opinione sulla proposta di legge che istituisce il Museo del terrorismo in memoria delle vittime civili e dei caduti delle Forze armate. La norma inizierà l’iter di esame in commissione Cultura della Camera in prossimo 4 settembre. L’iniziativa legislativa è del presidente dell’organismo parlamentare, appunto Federico Mollicone, tra gli esponenti di Fratelli d’Italia che più spesso ha spesso contestato le sentenze di condanna degli ex esponenti del terrorismo nero per la strage di Bologna.
Muovendo dall’obiettivo di onorare la memoria delle vittime del terrorismo – non viene mai citata la categoria dello stragismo, specifica e centralissima, se non con riferimento alla titolazione della legge che istituisce il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice – l’idea del meloniano Mollicone è di istituire un Museo del terrorismo a Roma affidandolo ad una Fondazione omonima pensata come ente di diritto privato, costituita dal Ministero della Cultura alla quale possono partecipare anche i ministeri degli Interni, della Giustizia, della Difesa, delle Infrastrutture e degli Affari Esteri, oltre ai soggetti privati che possono investire risorse proprie.
Alla Fondazione sarebbe affidato un archivio sulla storia del terrorismo in Italia negli anni tra il 1960 e il 2003: probabile che la datazione coincida con l’elenco delle vittime istituito dal Quirinale: partendo da Verona, 20 ottobre 1962 Gaspare Erzen (terrorismo altoadesino) fino al 2 marzo 2003, Emanuele Petri (Brigate Rosse). Ma se si vuole dare un carattere di completezza alla storia del terrorismo e dello stragismo non si possono lasciar fuori gli anni ’50 (nascita di Gladio, di Ordine nuovo e di Avanguardia nazionale) o la storia del banditismo in Sicilia. Da sottolineare che la Fondazione godrebbe di fondi per un milione di euro all’anno dal 2025. “Eppure esiste già l’Archivio di Stato, non capisco perché spendere questi soldi quando il problema, peraltro, è che i documenti in possesso dello Stato non vengono versati, cioè resi pubblici in qualche mdo. Il tavolo sulla desecretazione è fermo!”, tuona ancora Bolognesi. “Mancano le schede dei terroristi, mancano i luoghi di addestramenti di Gladio, dove venivano allevati i neofascisti, mancata tanta roba. Quella del Museo francamente sembra una costosa operazione messa in piedi per non arrivare a nulla!”, aggiunge ancora l’ex presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage alla stazione.
A meno che non immaginiamo, maliziosamente, che esista già un ideale organigramma della Fondazione: “Tempo fa – ricorda Federico Sinicato, storico legale delle vittime di Piazza Fontana e Brescia – sono stato contattato da una persona vicina agli ambienti della destra di governo che mi chiedeva documentazione proprio perché aveva in animo di fare un Museo molto simile a quello che oggi propone Fratelli d’Italia. Mi sembrò di capire che il progetto fosse in uno stato avanzato. Potrebbe essere la stessa iniziativa, non so. Tuttavia, tengo a dire che il tema delle vittime è molto delicato e si presta a strumentalizzazione. Le vittime sono tutte uguali ma la storia no: parificare il fenomeno dello stragismo ad altre forme di violenza è molto sbagliato, una distorsione storica. Milano, Brescia, Bologna: sono città duramente colpite da organizzazione neofasciste sostenute dagli apparati dello Stato. La destra meloniana non intende condividere questa verità storica perché è figlia di un movimento politico che ha portato la violenza nelle piazze. Ricordo che il presidente del Senato andò al funerale di Nico Azzi omaggiando un ex missino che solo per sua imperizia non fece saltare un treno”.
Ma sono anche altri i dubbi provocati dai due articoli della proposta di legge. Anche Ilaria Moroni, direttrice dell’Archivio Flamigni, una vita a salvaguardare carte e documenti, ha consistenti dubbi: “Non capisco perché una Fondazione che godrebbe di un milione di euro l’anno debba avere una natura giuridica privatistica, se non per dare più libertà sulle nomine o sulla gestione di questo Museo. Ricordo che già esiste una Rete degli Archivi coordinata proprio dal Ministero della Cultura, non ne sono a conoscenza? Perché quei soldi non vengono usati per digitalizzare le carte dei processi? Un immenso lavoro fermo per mancanza di risorse: questo è inaccettabile! Inoltre, siamo ancora in attesa della Relazione 2024 del Tavolo della desecretazione: si mettano risorse lì, ma pure sulla volontà politica di portare alla luce tutte le carte: fino ad ora è mancata”.
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