Un sabato nella storia vissuto in diretta streaming, ora per la Chiesa la difficile scelta del nuovo Papa
- Postato il 27 aprile 2025
- Politica
- Di Blitz
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Sabato 26 aprile 2025: una giornata storica. Così l’ha definita Giorgia Meloni. È una espressione eccessiva, un autoelogiarsi per essere stata lei l’artefice di un giorno così importante per il futuro di noi tutti, per la riconquista della pace?
Per rispondere ad un interrogativo così impegnativo, bisogna solo ricordare i fatti. A Roma, giunge una folla di quattrocentomila persone che vuole dare l’addio al Papa degli umili. Insieme con loro ci sono tutti i potenti della terra e dieci reali. Oltre all’esercito dei cardinali c he dovranno decidere chi sarà il successore di Francesco.
Un funerale mai visto

È un funerale senza precedenti. Piazza San Pietro, via della Conciliazione e le strade intorno sono gremite fino all’inverosimile. Nessuno vorrebbe mancare a questo storico appuntamento.
Trump è lì nei posti riservati ai grandi e poco più in là Zelensky che fino all’ultimo non si è saputo se poteva venire.
Finisce la cerimonia funebre, i due camminano insieme per pochi metri, poi si fermano in cerca di qualcosa: due povere poltroncine dove sedersi per parlare di pace. Proprio così: di pace. In mezzo ad una chiesa fra le più famose del mondo. Una foto li immortala: sarà probabilmente una immagine che la storia non potrà cancellare. Forse una svolta epocale dopo tre anni di una guerra sanguinosa con decine di migliaia di morti e città distrutte dalla violenza dei missili e gli innumerevoli bombardamenti.
Un quarto d’ora non di più, ma in quei minuti di colloquio si è probabilmente trovato quel quid che farà cessare il frastuono delle armi. “Putin non mi vorrà mica prendere in giro”, sostiene tra il serio e il faceto il presidente degli Statti Uniti.
La padrona di casa, Giorgia Meloni, non vuole apparire, preferisce rimanere in disparte. Solo poche frasi dopo la stretta di mano con Donald. “È si o no una giornata significativa per il disgelo Europa America?”.
Un sabato di pace
Non aggiunge altro. Si vuole godere questo spettacolo inimmaginabile che sta sbalordendo il mondo. “La pace non è morta”, grida alla premier una donna sui cinquanta. Lei sorride, ma non dice altro.
Roma, la città santa, l’Urbe assiste con emozione.
Ecco il nuovo valore che non può essere dimenticato. Non sappiamo se il ministro Matteo Piantedosi abbia dormito tanquillamente come il principe di Condè alla vigilia della battaglia di Rocrois. La nostra città doveva superare un esame difficile: come controllare quell’oceano di gente che non voleva perdersi uno spettacolo così storico (l’aggettivo non è esagerato). Migliaia di poliziotti, di carabinieri, di agenti della finanza che non potevano mai perdere d’occhio la situazione per il lavoro che stavano svolgendo.
Pensate se anche un incidente (piccolo o grande) avesse travagliato questo giorno: avremmo offerto al mondo una immagine che certo Roma ( e l’Italia) non merita. Senza considerare il fatto che la sinistra avrebbe fatto fuoco e fiamme per dimostrare che il governo Meloni è assolutamente inadeguato.
Superato un doppio esame, quindi, perché il giorno prima, festa della Liberazione, sarebbero potuti scoppiare incidenti che l’opposizione avrebbe cavalcato per dinostrare la pochezza di Giorgia e dei suoi ministri.
Da un punto di vista diplomatico, il 26 aprile è stato del tutto positivo. A parte l’incontro e il vis a vis tra Trump e Zelensky, i grandi della terra si sono potuti vedere e stringere le mani.
Solo Macron non ha nascosto l’invidia per l’indiscusso successo della Meloni. Se tutti i potenti del mondo erano lì in una piazza San Pietro gremita fino all’inverosimile di chi era stato il vanto se non della premier italiana con il suo viaggio a Washington per vedere Trump?
Il presidente francese ha fatto di tutto per mettersi in mostra: camminava in su e in giù per stringere mani, per dimostrare che lui era presente, che se un giorno si potrà arrivare alla pace il merito sarà soprattutto suo. Povero Macron, lo si può comprendere. Dopo i guai che deve risolvere in Patria, essere sconfitto pure in Europa non deve avergli fatto fare i salti di gioia.
Da domani, dunque, dopo giornate indimenticabili, la parola passa ai 135 cardinali che, chiusi in Conclave, dovranno scegliere il nuovo Papa. Dovrà essere un pacificatore in grado di mettere d’accordo i riformisti e i conservatori. Compito non semplice, viste le divisioni che ci sono fra le due “fazioni”. Ecco perché si dovranno attendere ancora giorni per l’inizio delle votazioni.
Non mancheranno i contatti, i tradinenti, le trame, i misteri, gli accordi dell’ultimo minuto per spostare una maggioranza che potrebbe perdere per un soffio. Previsioni non se ne possono fare, è quasi impossibile in una situazione come quella attuale. Dovrà vincere il buon senso e la diplomazia se la Chiesa non vorrà correre pericoli.
Sostiene con grande lungimiranza il cardinale Giovan Battista Re: “Dobbiamo costruire ponti, non abbattere muri”. Ci saranno gli ingegneri necessari per un’opera del genere?”.
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