Un volontario di Mediterranea: “Le mie notti in Stazione centrale per dare ai migranti un’Europa migliore”

  • Postato il 22 luglio 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La scintilla è stata, per quanto paradossale possa sembrare, l’ultima manifestazione in piazza dopo l’ennesimo, tragico, naufragio. Quel giorno, circa tre anni fa, Francesco, regista che vive a Milano, ha avvertito che quel gridare in strada non gli bastava più. Voleva fare qualcosa, metterci la faccia e le mani. Si rivolge così a una ong tedesca che si occupa di salvataggio, che lo indirizza a Mediterranea Saving Humans, ong nata nel 2018 e che oltre a missioni in mare nelle zone SAR (search and rescue) è presente con missioni in Palestina e Ucraina.

Francesco decidere di lavorare come volontario per la ong al progetto “Ferrovia sotterranea”. “Si chiama così non perchè facciamo qualcosa di illegale”, spiega, “ma per rendere omaggio a quella rete di persone che durante la schiavitù aiutava gli americani afrodiscendenti a passare dal sud ancora schiavista verso il nord quindi verso la libertà”. Così da due anni e mezzo, due volte a settimana, dalle otto a mezzanotte di sera, sta in Stazione centrale a Milano, dove Mediterranea Saving Humans, insieme ad altre associazioni, tra cui Rete Milano, fa un’attività di supporto alle persone in transito (lo stesso a Torino e Trieste) che arrivano sia dalle rotte del Mediterraneo, cioè dalla Sicilia, che dalla rotta balcanica. “Milano è una città cardine, ci passano tutti quelli che vogliono andare in Francia, in Germania, Svezia, Belgio”, racconta sempre Francesco. “Noi a queste persone diamo vestiti puliti, scarpe, cibo, medicine, qualche volta un telefono perché ad alcuni gli viene rotto nel viaggio. Abbiamo anche dei medici che ci supportano in caso di emergenze (i ragazzi hanno piaghe ai piedi, ferite infette e a volte scabbia). Quando i migranti stanno molto male e hanno bisogno di un riposo reale, abbiamo una rete di persone che per una notte aprono le porte della propria abitazione. Ovviamente non aiutiamo solo chi transita, ma anche gli stanziali che hanno bisogno”.

I viaggi disperati dei migranti, tra torture e respingimenti

Tra coloro che arrivano ci sono anche famiglie, genitori con più figli sbarcati a Lampedusa, ma anche tantissimi afghani, iraniani, “ora iniziano ad arrivare i palestinesi, e poi etiopi, eritrei sudanesi”. Si parla in francese e inglese, poi ci sono persone che aiutano nella traduzione dei dialetti, ad esempio quelli africani o afghani.

La Convenzione di Dublino fa sì che queste persone, anche dopo viaggi massacranti, vengano rimandate nel Paese che le ha identificate. “Ho visto ragazzi afghani, che hanno attraversato a piedi i Balcani, con cicatrici delle bastonate sulla schiena e delle coltellate sulle gambe. Chi viene dall’Afghanistan ha attraversato Turchia, Bulgaria, Bosnia, Serbia ma alcuni questi Paesi, come la Bosnia, sono diventati una sorta di nuova Libia”, spiega Francesco. “Parlo anche di persone che sono state torturate, un ragazzo aveva anche la diagnosi da disturbo post traumatico, eppure lo hanno rimandato indietro”. Ci sono migranti che hanno rifatto due volte lo stesso viaggio, atroce, non si possono neanche fermare in Italia, magari in una comunità, perché le famiglie hanno speso per il viaggio e hanno bisogno di lavorare.

Incontri che ti aiutano a rimettere le cose in prospettiva

Cosa significa essere volontari di Mediterranea Saving Humans? “Vivere con queste persone a volte ti regala momenti di inaspettato entusiasmo e di grande condivisione, mi è capitato quindi di condividere la mia casa e la mia tavola con ragazzi afghani, iraniani, eritrei che mi raccontavano del loro viaggio della loro casa e delle loro famiglie”, risponde Francesco. “Quello che ti butta giù è capire che loro affrontano ogni tipo di pericolo nel sogno di un’Europa accogliente. Quando arrivano qui, invece, si scontrano con quello che è l’Europa oggi: rimpatrio, Cpr, lavoro nero e malpagato e condizioni di vita difficili. Ogni tanto ti accorgi che per alcune delle persone che aiuti non c’è futuro qui, non c’è futuro nel loro Paese di origine”.

Francesco, comunque, dice di non essersi stancato di manifestare e che lo farà ancora, però “l’attivismo è qualcosa di diverso, che ti cambia dentro e ha anche una forte valenza politica”. Inoltre, incontrare migranti “aiuta a mettere in prospettiva le cose. Mi ero stancato di accendere la radio e sentire di naufragi, di persone che muoiono in mare, di gente rinchiusa nei Cpr che si suicida, e volevo fare qualcosa, non solo indignarmi. Ero stanco di pensare che i miei ideali di libertà, eguaglianza e giustizia rimanessero solamente degli ideali nella mia testa”.

Oltre a questo, Francesco ha deciso di mettere a disposizione della Ong anche la sua competenza professionale. Così, ha già girato un video sulla nave per i social, filmando l’arrivo dell’imbarcazione a Pozzallo, e vari contenuti per raccontare l’attività di Mediterranea in mare e aiutare il fund raising. Anche questo significa contribuire a salvare vite umane.

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Il Fatto Quotidiano

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