Una domandina semplice per chi intende riconoscere la Palestina
- Postato il 31 luglio 2025
- Di Il Foglio
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Una domandina semplice per chi intende riconoscere la Palestina
Al direttore - Gli stati che intendono riconoscere la Palestina, riconosceranno anche quella sotterranea dei tunnel, dove tanti ostaggi sono stati lasciare a morire di fame? E per quelli che morti non sono ancora, porranno come condizione la loro immediata liberazione, o considereranno quella detenzione come una norma del nuovo stato?
Franco Debenedetti
Gli stati che intendono riconoscere la Palestina sono pronti a dire che riconoscere unilateralmente quei territori come stato significa riconoscere il diritto dei terroristi di assaltare uno stato confinante, prendere in ostaggio i civili, usare i propri cittadini come scudi umani e cancellare di fatto ciò che è successo il 7 ottobre?
Al direttore - Macron e Starmer arrivano tardi con l’annuncio di voler riconoscere uno stato arabo palestinese. Israele lo aveva ha già riconosciuto nel 1947 con David Ben Gurion, poi nel 1967 con Levi Eshkol, poi a Camp David e Taba con Ehud Barak, poi la Road Map for Peace del 2003 con Ariel Sharon, poi nel 2008 ad Annapolis con Ehud Olmert. I palestinesi finora han sempre detto di no. Colpa degli israeliani, naturalmente, perché in cambio chiedevano che fosse riconosciuto il diritto all’esistenza dello stato ebraico.
Yasha Reibman
From the river to the sea.
Al direttore - Caro Cerasa, ho letto con attenzione il suo editoriale di ieri. Lei adduce buoni argomenti a sostegno della tesi che “c’è un bicchiere mezzo pieno sui dazi”. Se ho capito bene, l’accordo con Trump potrebbe funzionare come una sorta di “vincolo esterno” per costringere l’Europa ad adottare politiche comuni in campi cruciali per la sua crescita economica e la sua autonomia strategica. Purtroppo, un bicchiere mezzo pieno è anche un bicchiere mezzo vuoto, e qui vengono i guai. Premesso, beninteso, che l’accordo resta tutto da scrivere e che, quindi, sono in larga misura campati in aria i calcoli che cercano di contabilizzarli. Ora, la Commissione di Bruxelles si è impegnata nei prossimi tre anni a investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti e ad acquistare almeno 750 miliardi di euro di prodotti energetici americani in cambio del dimezzamento delle tariffe annunciate. Ma queste sono promesse fantasiose. Non si possono, infatti, costringere le imprese private a fare investimenti: solo l’Italia dovrebbe raddoppiare il ritmo annuo degli investimenti esteri per concentrarli tutti in un solo paese. Inoltre, se sulla carta può essere relativamente facile per alcune merci spostare le linee di produzione negli Usa, come chiede Trump, per settori come l’Automotive o la farmaceutica è assai complicato. E non avrebbe senso per l’alimentare, visto che quello che i consumatori americani chiedono è cibo made in Italy. Quanto agli acquisti di 750 miliardi di prodotti energetici in un triennio, vale lo stesso discorso: non si possono costringere le compagnie a importare solo gas o petrolio statunitense. Senza peraltro dimenticare che l’intero export energetico mondiale degli Stati Uniti oggi vale circa 160 miliardi di dollari. Infine, una nota a margine. Da vecchio sindacalista, confesso che sono rimasto perplesso quando Ursula von der Leyen, una settimana prima dell’incontro in Scozia, ha dichiarato che l’Ue non intendeva tassare le Big Tech d’oltreoceano. Forse voleva rabbonire il suo interlocutore, ma in una trattativa non si vende la pelle dell’orso prima di averlo ucciso. Cordiali saluti dalla patria di Jannik Sinner.
Michele Magno
Al direttore - Se Matteo Ricci, candidato alla presidenza delle Marche, farà scena muta davanti ai pm, l’appoggio del M5s se lo potrà scordare. Giuseppe Conte lo ha lasciato intendere chiaramente in un’intervista alla Stampa. “Vedremo come andrà il confronto col pm – ha affermato –, se si avvarrà o meno della facoltà di non rispondere, e valuteremo coi nostri gruppi senza spirito sanguinario ma con grande senso di responsabilità”. E se non risponde? “A buon intenditor poche parole”, ha chiosato Conte. In buona sostanza, dunque, secondo il leader del M5s, se un indagato si avvale di una facoltà riconosciuta dal codice di procedura penale, perde il diritto a candidarsi. La definizione di “piccolo Vishinsky”, affibbiata anni fa da Cossiga a Violante, in questo caso sarebbe un eufemismo.
Luca Rocca
Dall’avvocato del popolo al tribunale del popolo il passo è brevissimo.