Una mano

  • Postato il 17 settembre 2025
  • Di Il Foglio
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Una mano

Quella che chiamano “normalità” è vivere nel corpo, attraverso il corpo: orientarlo nella direzione desiderata, muoverne le parti, riconoscere il mondo con i sensi. Ma cosa accade se un giorno, per un banalissimo incidente – una scivolata sulla strada ghiacciata –, una porzione del nostro corpo smette di funzionare, perfino di essere avvertita, giacendo come un’appendice morta all’estremità di un arto spezzato? Improvvisamente, quella mano, che ha smesso di esistere, entra nel regno dell’esistenza proprio attraverso la sua assenza. Proprio perché non se ne percepisce più la presenza, quella presenza sempre data per scontata e su cui mai si è trovato di dover riflettere, la mano diventa il punto di inciampo dello scorrere fluido dei pensieri e delle azioni. E’ tutto ciò a cui si riesce a pensare, il luogo attraverso cui pare dover passare ogni evento.

Il corpo, da soggetto, si fa oggetto di osservazione, indagine, esplorazione. Il corpo, che prima era la più concreta certezza a partire da cui interrogare il mondo, si fa esso stesso punto interrogativo. Come uno spazio invaso dalla nebbia, che fagocita via via ogni elemento, fino a lasciare intatta solo la consapevolezza che si ha di sé, ma senza alcun appiglio; come una ragnatela che, un filo alla volta, si disfa, con al centro il ragno, l’anima, le cui zampe non hanno più alcun appoggio sicuro.

Quel riferimento unico e certo, il corpo, è il punto fermo a partire dal quale tutto il mondo risulta riconoscibile. Ora, privato di quella certezza, tutto quel mondo, che prima era il semplice ambiente della propria presenza, diviene a propria volta realtà estranea da battere palmo a palmo, con cui riprendere confidenza se si vuol tornare a inscrivervi la propria esistenza. Smarrite le proprie coordinate più elementari, lo sguardo si muove come quello di un esploratore in una terra appena scoperta.

Con scrittura ora nervosa e asciutta, ora distesa ed eloquente, corrispondente allo stato d’animo dello sradicamento, Charles-Ferdinand Ramuz stila il diario di una guarigione, che è al contempo processo di riapprendimento dei princìpi primi della vita. Il bagaglio di riferimenti e certezze accumulato fin dall’infanzia si è sparso e dissolto, e ora, un pezzo alla volta, con coraggio e pazienza, va ricomposto. E vien da pensare che, se solo si vince la noia angosciosa di un moto insensato in un mondo privo di significato, anche una simile disavventura può rivelarsi occasione per acquistare una più salda consapevolezza.

  

Charles-Ferdinand Ramuz 
Una mano
Abbot, 88 pp., 10 euro 

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Autore
Il Foglio

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