Unabomber, il mistero insoluto: l’ultima perizia sugli ordigni esplosivi scagiona gli 11 indagati. Nessun dna corrispondente
- Postato il 7 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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A trent’anni dall’esplosione del primo ordigno (all’epoca un tubo-bomba), due anni e mezzo dopo l’assegnazione dell’ultima perizia, cala il sipario sulla possibilità di dare un’identità a Unabomber, il misterioso dinamitardo che ha disseminato Veneto e Friuli di trappole con il botto. Dal 1994 al 2006 ha seminato il terrore, ha ferito e mutilato, non ha mai ucciso, ma rimane uno dei criminali più inafferrabili, subdoli e pericolosi. Adesso si può ritenere che l’abbia fatta franca, rendendosi invisibile anche alle più sofisticate tecniche di indagine scientifica.
Giampietro Lago ed Elena Pilli, consulenti del gip di Trieste Flavia Mangiante, hanno comunicato ai periti della difesa e delle parti civili che dall’analisi dei dieci reperti custoditi in un deposito del palazzo di giustizia di Trieste non emerge un Dna corrispondente a quello di uno degli undici indagati o di una delle tante persone il cui profilo genetico sia disponibile nelle banche-dati. La perizia che è composta di circa duemila pagine non è ancora stata depositata, ma la sintesi del risultato negativo è ormai certa, dopo l’ultimo incontro degli esperti e il raffronto dei risultati raggiunti. L’esame avverrà il 20 ottobre durante l’udienza fissata davanti al gip.
Già il lungo tempo trascorso aveva cancellato con la prescrizione dei reati la possibilità di perseguire tutti gli episodi, ad eccezione dell’ultimo, avvenuto nel 2006. Adesso si profila un’archiviazione collettiva. Quando tre anni fa venne presa la decisione di riesumare i reperti esplosivi, furono ripescati dai fascicoli i nomi delle persone che erano entrate nelle diverse inchieste condotte dalle Procure di Venezia, Treviso, Pordenone, Udine e Trieste. Nell’elenco erano così finiti altri dieci nomi oltre a quello del principale indagato dell’epoca, l’ingegnere Elvo Zornitta di Azzano Decimo, già scagionato e prosciolto in istruttoria. Oltre a lui troviamo il fratello gemello Galliano Zornitta, residente a Belluno, i gemelli Lorenzo e Luigi Benedetti di Sacile, i fratelli Claudio e Dario Bulocchi di Fontanafredda, Luigi Favretto di Tarcento, Angelo La Sala di Sequals (deceduto), Cristiano Martelli di Azzano Decimo, Giovanni Fausto Muccin di Casarsa della Delizia e Luigi Pilloni, di origine sarda, ma residente in provincia di Treviso.
Solo la lettura della perizia potrà chiarire se sia stato isolato un Dna valorizzabile nelle comparazioni, anche se non coincidente con i profili genetici a disposizione. Per il momento l’avvocato Maurizio Paniz, che assieme a Paolo Dell’Agnolo assiste da anni Elvo Zornitta, commenta: “Abbiamo avuto la conferma di quello che da tempo sostenevo, la completa estraneità dell’ingegnere. Ma non posso che trovare scandalosi i tempi di attesa. Sono trascorsi due anni e mezzo per avere la perizia. È davvero inconcepibile, considerando quante persone sono state coinvolte in questa riapertura delle indagini”. La svolta si era registrata dopo che un giornalista era stato ammesso nel deposito dei reperti e aveva trovato i resti degli ordigni, in qualche caso composti da esplosivo nascosto in beni di consumo abbandonati sugli scaffali di un supermercato: un pennarello, una scatoletta di tonno, un uovo…
Già allora erano sorti dubbi sulla possibilità di individuare il Dna umano, anche per il cattivo stato di conservazione dei reperti. L’avvocato Leopoldo Da Ros: “Sono sempre stato dell’opinione che non si sarebbe trovato nulla. I miei assistiti non hanno la cognizione tecnica per realizzare ordigni di quel tipo”.
Intervistato dalla giornalista Cristina Antonutti, Zornitta, che ha 68 anni ed è pensionato, ha dichiarato: “Dopo 21 anni di tribolazione, perché non era mai finita, adesso posso considerarmi libero. È un sollievo per me e per la mia famiglia. La volontà è forte, ma ogni volta che ho tentato di rialzarmi, c’era qualcosa di nuovo… Ciò che mi è stato tolto nessuno me lo restituirà”. Dopo essere stato indagato, Zornitta ne era uscito a testa alta, costituendosi parte civile in un processo per manomissione di una prova da parte di un esperto della Polizia. Nonostante una causa allo Stato per un milione di euro, non ha ricevuto un euro dei 300 mila fissati da un giudice. Quando l’inchiesta è stata riaperta è tornato a vivere l’incubo degli anni precedenti.
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