Un’antica tecnica giapponese incontra la ceramica italiana. Intervista al maestro Tomo Hirai

  • Postato il 7 settembre 2025
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  • Di Artribune
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Spesso, in fatto d’arte, le opere più interessanti nascono dall’incontro di culture e tradizioni molto diverse e lontane tra loro. È questo il caso dei lavori realizzati dal maestro Tomo Hirai (Amagasaki,1947), artista giapponese che, dopo la formazione nel suo Paese, negli Anni Settanta, si è trasferito in Italia per approfondire la tradizione della ceramica faentina da cui era stato colpito. Senza mai abbandonare la sua cultura, Hirai negli anni si è distinto per aver creato un ponte tra i due Paesi che oggi si traduce in una serie di lavori in cui reinterpreta, con elementi della ceramica faentina, la millenaria tradizione dei Magewappa; oggetti artigianali realizzati con legno di Sugi, il cedro giapponese tipico della prefettura di Akita, in particolare della città di Ōdate, nel nord del Paese. Questi manufatti, destinati a un uso quotidiano e realizzati con una tecnica che prevede una piegatura a caldo, da cui il loro intenso profumo di legno naturale, si caratterizzano per il coniugare la leggerezza e l’eleganza con una grande robustezza. Nella visione del maestro Tomo Hirai, i Magewappa si arricchiscono della brillantezza e della vivacità cromatica della maiolica italiana, dando luogo a un dialogo affascinante e armonioso che unisce due storie lontane, nel tempo e nello spazio. Per approfondire ne abbiamo parlato con lui.

Tomo Hirai, ritratto
Tomo Hirai, ritratto

Intervista all’artista giapponese Tomo Hirai

Com’è nato il suo interesse per la ceramica che, negli Anni Settanta, l’ha portato in Italia?
Nel 1970, presso il Museo Nazionale di Arte Moderna di Kyoto, si tenne la mostra Ceramiche contemporanea in Europa e Giappone, a cura di Nino Caruso, che presentò per la prima volta la ceramica europea. Fu in quel momento che notai la diversità della ceramica italiana rispetto a quella del mio Paese. Grazie alla conoscenza con il curatore, due anni dopo sono entrato nel suo atelier a Roma.

Parallelamente, come e quando nasce il suo interesse per i Magewappa, tipici della città di Ōdate nel nord del Giappone?
Il mio interesse per i Magewappa nasce circa tre anni fa, quando ho avuto l’opportunità di partecipare, in qualità di coordinatore, a un progetto per promuovere all’estero l’artigianato giapponese – tra cui la ceramica Bizen di Okayama e il Magewappa di Odate di Akita – al Fuori Salone 2024 di Milano. Successivamente, ho ideato una mostra itinerante in Italia dedicata esclusivamente al Magewappa. Da quel momento ho iniziato a interessarmi al cedro di Akita e alle tecniche tradizionali legate a questa lavorazione. Dallo scorso luglio, ho visitato più volte Ōdate, dove, collaborando con gli artigiani locali, mi è venuta l’idea di creare un dialogo con la maiolica.

Come si coniugano le tradizioni dei Magewappa e quella della ceramica faentina?
È una fusione di materiali, in particolare la maiolica e il legno di cedro di Akita a venatura dritta. Mi sono chiesto come si potessero valorizzare al meglio le linee del legno dette “Masame”, cioè quelle linee create dagli anelli di crescita del cedro di Akita (di età di circa 100-150 anni). È una fusione tra la sensazione di calore morbido conferita dalla terra maiolica, le qualità tattili, nonché olfattive del cedro di Akita, e le tonalità cromatiche di entrambi. 

Nella sua visione, in che modo questi antichi manufatti possono dirsi rappresentativi della cultura giapponese?
I Magewappa, prodotto di una tradizione millenaria, fiorita in particolare nel XVII Secolo, per me incarnano a pieno il delicato senso estetico e il profondo rispetto per la natura giapponesi. 

A livello esecutivo trova un’assonanza tra il legno dei Magewappa e la ceramica faentina?
Dal punto di vista dei materiali, la maiolica è una linea libera, mentre il cedro di Akita è una linea retta. A prima vista possono sembrare contrastanti, ma il legno, se curvato, è in grado di rivelare linee ancora più affascinanti. Per rispettare e dialogare con le venature dritte del cedro di Akita, ho inserito sulla maiolica delle linee a pettine (kushime). Il risultato è che entrambi i materiali trasmettono una sensazione di calore morbido.

Che importanza attribuisce all’elemento cromatico nella sua reinterpretazione del Magewappa?
Il colore rossastro della terra di maiolica e le tonalità del cedro di Akita mi sembrano in sintonia. La terra fa crescere gli alberi. Entrambi appartengono allo stesso mondo della natura.

Ormai lei vive in Italia da molti anni, quali sono, secondo lei, i maggiori elementi di unione tra la cultura giapponese e quella italiana?
La comprensione della storia, della cultura, dell’arte e della tecnica.

Quale messaggio intende veicolare con le sue opere?
Semplicemente “emozione” e “empatia”.

Attribuisce una valenza spirituale alla fase esecutiva del lavoro? 
Nel profondo, è l’espressione del proprio “senso estetico”; in modo più semplice, è “seguire liberamente ciò che si sente”.

Nella fase di realizzazione delle opere si lascia guidare da un progetto prestabilito o segue un’ispirazione momentanea?
Prima di tutto, le mie opere sono figlie dell’ispirazione. Da lì, passo a chiedermi “Come posso esprimerla al meglio?”. Così, inizio a elaborare un progetto per concretizzarla. Per questo, faccio degli schizzi. Attraverso gli schizzi l’opera prende forma quasi del tutto nella mia mente. Poi realizzo l’opera in base all’immagine che ho costruito.

Ludovica Palmieri

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Artribune

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