Un’educazione veneziana
- Postato il 24 dicembre 2025
- Di Il Foglio
- 2 Visualizzazioni
Un’educazione veneziana
Oggi non crederemmo immaginabile che la vita di un adolescente possa essere tanto densa quanto lo è stata quella di Mario Andreose, “grande vecchio” dell’editoria che, nel suo recente Un’educazione veneziana, inizia il racconto autobiografico il 10 giugno del 1940, quando l’Italia entra in guerra e lui ha solo sei anni, e continua, senza mai traslocare l’orizzonte della narrazione al di là del Ponte della Libertà, fino ai suoi diciannove, vissuti a Venezia “senza mai disporre di una doccia o di una vasca da bagno o di un bidet”.
Una vita densa, quella raccontata in un memoir gentile, colto e ironico (lo sguardo con cui Andreose indugia sulla vita è esattamente questo), soprattutto dal punto di vista intellettuale, e che produce invero nostalgia persino in chi quegli anni non li ha vissuti, quei masegni non li ha calpestati se non per accidente, quel fermento intellettuale, artistico, culturale non ha avuto la fortuna di esperirlo. E allora ecco che – tra discussioni di libri, film e mostre ai tavolini di un bar delle Zattere, sotterfugi per raggranellare due soldi, nuotate nel canale della Giudecca che “fatt[e Quale ragazzo, oggi, vive la sua formazione così intensamente? Sono cambiati i tempi o c’è del genio precoce? Entrambi, evidentemente. Ma viene anche da chiedersi se l’occhio smaliziato e la penna delicata, al pari dei modi s’intuisce, che in questa operazione di scavo rileggono con gusto, eleganza e ironia, non appartengano forse al Mario di oggi piuttosto che a quello di allora. Come quando racconta del grecista di fama Enrico, zio dell’amico Neno a cui quest’ultimo faceva il verso: “Nina ti ga’ fameta?”. “Ebbene”, scrive Andreose, “questa frase è entrata definitivamente nel mio lessico familiare” e prosegue spiegando che il “piatto più gratificante” per il ragazzo era “la pasta al sugo, sulla quale amava avventarsi con l’accompagnamento alternato di qualche pezzo di pane, cioè insieme, non per la scarpetta finale. Una pratica, pasta e pane, che io, più povero di loro, non mi sarei mai sognato di attuare, ritenendola di carattere incestuoso”. Mario Andreose si racconta così. Con garbo e con umiltà. La sua Educazione veneziana è zeppa di titoli, di suggestioni, di intrecci di storia e storie ma quel che più piace nel leggerlo è trovarci un mondo che, fintanto che qualcuno saprà raccontarlo alla maniera di Andreose, evidentemente esiste ancora. Per fortuna.
Continua a leggere...