UNICAL VOICE – “Paolo non tornerà a scuola”

  • Postato il 18 settembre 2025
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UNICAL VOICE – “Paolo non tornerà a scuola”

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Vittima di bullismo fin dalle elementari, ha scelto di dire basta alla vigilia del nuovo anno scolastico.


Paolo aveva 14 anni. Una vita intera davanti, sogni ancora da scrivere, progetti mai iniziati. Ma a Paolo è stato tolto tutto. È stato ucciso da qualcosa che non lascia lividi sulla pelle, ma lacera dentro: il bullismo.

Lo prendevano in giro per i capelli lunghi e biondi. Lo trattavano come uno scherzo della natura. Per anni ha ingoiato offese, risate e sguardi cattivi. Per anni ha vissuto in un mondo che non lo ha mai difeso davvero. La scuola sapeva. Gli adulti intuivano. Eppure, niente è cambiato.

La vigilia del ritorno a scuola, Paolo ha deciso di non volerci tornare. Si è chiuso nella sua stanza e ha scelto l’unico modo che conosceva per smettere di soffrire. Ha stretto il cappio e si è lasciato andare. A quattordici anni.

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NON BISOGNA DIMENTICARE. IL BULLISMO NON è UNO SCHERZO

Questa non è una storia lontana, non è un titolo di giornale da dimenticare il giorno dopo. Paolo non è un caso isolato. Paolo è uno dei tanti ragazzi e ragazze che hanno deciso di togliersi la vita perché quotidianamente umiliati, schiacciati, ridotti al silenzio. Andrea Spezzacatena, il “ragazzo dai pantaloni rosa”, e tanti altri hanno lasciato dietro di sé la stessa domanda: perché nessuno li ha fermati?

Il bullismo non è uno scherzo. Non sono solo parole. È veleno che goccia dopo goccia spegne l’anima di un adolescente, fino a quando il buio diventa insopportabile. Ogni insulto, ogni risata crudele, ogni “non è niente” pesa come una pietra. E quelle pietre, una sopra l’altra, diventano un muro che separa chi subisce da chi potrebbe salvarlo.

La morte di Paolo ci urla addosso una verità scomoda: non stiamo facendo abbastanza. Non basta piangere, non basta indignarsi. Serve ascoltare i ragazzi, davvero. Serve credergli quando dicono che stanno male. Serve fermare subito chi umilia, chi deride, chi usa la violenza come gioco.

Perché un ragazzo di 14 anni non dovrebbe mai scegliere la morte come unica via d’uscita.

Oggi Paolo non c’è più. Ma la sua assenza pesa. Pesa come un’accusa. E ci ricorda che ogni volta che un ragazzo viene lasciato solo con il suo dolore, rischiamo di perderlo. Per sempre.

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