Università di Genova, dopo gli scioperi per Gaza borse di studio bloccate. L’Assemblea Precaria: “Ricatto”
- Postato il 8 ottobre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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In occasione della cinquantanovesima sessione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Relatrice Speciale Francesca Albanese ha presentato il suo ultimo Rapporto From economy of occupation to economy of genocide. Questo testo analizza l’evoluzione dell’occupazione israeliana in Palestina come progetto coloniale di insediamento, alimentato da un ampio apparato economico-industriale, tra cui spiccano anche le università – israeliane e occidentali. Queste non solo contribuiscono alla costruzione ideologica del regime, promuovendo narrazioni allineate allo Stato e cancellando la storia palestinese, ma partecipano anche in modo diretto allo sviluppo tecnologico e militare. Un esempio in Europa è il programma Horizon Europe che ha destinato miliardi di euro a enti e aziende israeliane e che si prepara a un cambiamento strutturale nel prossimo ciclo finanziario 2028-2034: per la prima volta in oltre quarant’anni, la Commissione europea ha confermato che i progetti dual-use – ovvero con applicazioni sia civili che militari – saranno ammissibili di default in tutte le componenti del programma. Crescono quindi le proteste all’interno delle università e cresce anche la repressione.
Un caso emblematico è quello di Genova: a seguito dello sciopero generale del 22 settembre e dopo giorni di mobilitazione, assemblee e presidi, un gruppo di studenti e studentesse hanno occupato il rettorato di via Balbi 5 chiedendo la rescissione degli accordi con l’industria bellica; l’interruzione del bando promosso in collaborazione dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) e dal Ministero dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia dello Stato di Israele (MOST); il sostegno alla resistenza palestinese e alla Global Sumud Flotilla. Le risposte sono state da un lato la denuncia degli occupanti – sostenuta dal ministro Anna Maria Bernini; dall’altro, il blocco dell’erogazione delle borse di studio a dottorande e dottorandi, giustificato menzionando la difficoltà del personale amministrativo nell’accesso ai propri uffici.
Ne abbiamo parlato con l’Assemblea Precaria Genovese, collettivo di precarie e precari del mondo universitario e della ricerca, che condanna l’atto di denuncia come inaccettabile “ricatto” e che ritiene che interruzioni e ritardi nel pagamento delle borse rappresentino uno stratagemma volto all’innalzamento della tensione, al fine di creare contrasto tra studentesse e studenti che stanno occupando e lavoratori e lavoratrici precarie. Come testimonia un’attivista “è tecnicamente inammissibile che non sia possibile erogare borse da remoto. Se vero, come non crediamo, si tratta di un dato problematico anche per possibili situazioni di emergenza cui dover far fronte. Poi c’è anche un altro fatto, più politico: il ritardo esplicitamente connesso all’occupazione fa sì che si inneschi un’inevitabile guerra tra poveri, una guerra tra precariato e chi occupa. Infatti, alcune colleghe e colleghi si sono arrabbiati con studentesse e studenti anziché opporsi alle imposizioni rettorali”.
Nonostante questa apparente distanza tra corpo studentesco e personale precario, costruita di fatto attraverso una logica di minaccia materiale (e sua attuazione), le mobilitazioni pro-Palestina “si inseriscono in un percorso di lotta e rivendicazione che caratterizza anche la nostra Assemblea. Le richieste mosse da studentesse e studenti sono affini alle nostre ma, anche stavolta, queste stesse richieste non hanno trovato risposta. Noi come Assemblea denunciamo la presa di posizione del Rettore così come il suo precedente silenzio e la mancata condanna del genocidio in corso, che è sinonimo di complicità”. Inoltre, l’Assemblea sottolinea il legame tra condizione di precarietà, costante definanziamento dell’Università e crescente influenza di investitori privati legati, anche indirettamente, al settore bellico. Da ciò emerge la convergenza tra lotta alla guerra e lotta contro tagli e precarietà. Per l’Assemblea “la nostra precarietà è legata strettamente al fatto che l’università viene definanziata”.
La riduzione dei fondi statali è una scelta politica perché sono fondi che vengono tolti da alcuni settori, tra cui l’università. Ciò che ci viene tolto è poi destinato alla difesa e all’industria bellica, non è una questione di mancanza di risorse. Questo si inserisce in scelte politiche ancora più estese se pensiamo alla politica di riarmo dell’Unione Europea. L’Università italiana, definanziata, è costretta a cercare delle risorse altrove, anche con accordi, con soggetti privati che includono le aziende del settore bellico, tra cui, ad esempio, la Leonardo. In questo modo le priorità della ricerca diventano sempre di più orientate verso gli interessi economici e militari. Oggi la lotta per migliori condizioni di lavoro nel campo della ricerca e per una ricerca più libera è anche e soprattutto una lotta per la liberazione del popolo palestinese”.
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