Universo 25
- Postato il 2 luglio 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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“Oramai il concetto di intelligenza equivale a capacità di conseguire un obiettivo, peccato trascuri completamente la centralità della scelta dello stesso”, tipico dell’amico Gershom Freeman, rimanere in silenzio, e io con lui a dirla tutta, centellinando il suo bicchiere e lasciandosi accogliere dalle lontananza dell’orizzonte jonico verso l’Africa, quindi eccolo uscirsene con una riflessione che, lo conosco e infatti rimasi in attesa, ha radici lontane e presto si sarebbe risolta nel classico “pensare a voce alta”. La notte tiepida e appena ventilata se ne rimase in attesa come me, poi Gershom cominciò raccontandomi di un esperimento condotto da un etologo, John Calhoun, al quale si riferì chiamandolo Esperimento Universo 25 ma anche fogna del comportamento. Ben presto il suo ragionare si diresse verso i fondamenti che avrebbero dato senso all’affermazione dell’incipit ma, in questo contesto, sarà opportuno chiarire cosa sperimentò Calhoun e, ovviamente,quali obiettivi si prefiggeva la sua indagine. La ricerca di Calhoun ebbe inizio nel 1947 e l’esperimento fu replicato credo 25 volte da cui il suo appellativo, la tesi dell’etologo si può leggere come una contestazione delle tesi di Malthus che contrapponeva l’incremento geometrico delle bocche da sfamare a quello aritmetico della crescita dell’offerta alimentare, la tesi di Calhoun era che il vero problema dei sistemi moderni non fosse da individuare nella limitatezza delle risorse ma nelle dinamiche relazionali che addirittura si esasperano e confliggono all’interno di una “economia del benessere”. Ovviamente non prendo in esame l’annosa polemica circa la scientificità dell’applicazione di esiti sperimentali relativi a cavie animali a teorie sociologiche che riguardano l’essere umano, pleonastico precisare che non siamo ratti e ricordare anche le contestazioni già sollevate da Ralph Waldo Emerson nei confronti della tesi malthussiana, quando scriveva che “Malthus […] dimenticò che la mente umana era anch’essa un fattore nell’economia politica”.
Dopo decenni di esperimenti e dopo l’ennesima identica conclusione degli stessi, nel 1973 Calhoun pubblicò “Death squared: the explosive growth and demise of a mouse population” nel quale descrive ciò che definisce “fogna del comportamento” riferendosi a quanto registrato nella popolazione di ratti che, messi in condizioni di vita perfette, senza predatori, forniti di sostentamento comodo e abbondante, invece di generare un costante incremento demografico determinarono “la distruzione dell’organizzazione sociale”. Ciò che avrebbe dovuto riprodurre una perfetta condizione edenica si sviluppò inizialmente come prevedibile, relazioni normali e aumento della popolazione, ma ben presto si evidenziarono “comportamenti devianti”, addirittura fenomeni di cannibalismo, soppressione dei propri figli, competizione per la collocazione nelle gerarchie sociali, progressivo calo demografico, squilibrio del sistema sociale che determinò ciò che l’etologo definì “la prima morte”, alla quale fece seguito quella fisica, fino a causare, a ogni esperimento, l’estinzione della colonia. È possibile definire la scienza dell’etologia come una sorta di “biologia del comportamento”, è pertanto discutibile l’idea di applicare tout court ciò che si osserva in un esperimento, che ha per protagonisti animali, a quanto potrebbe verificarsi in un sistema di umani, anche se diversi aspetti della ricerca di Calhoun si possono riconoscere in dinamiche comportamentali dell’essere umano negli anni del fiorire dell’economia consumistica. Mi riferisco a ciò che si definiva “riflusso nel privato”, una parte dei ratti si isolava dalla vita del gruppo; edonismo narcisistico, i gruppi di ratti che si preoccupavano solo di nutrirsi e curare il proprio pelo; droga e suicidi, diversi ratti si facevano del male fino a ridursi alla morte.
Va bene, non siamo ratti e non entriamo nel merito della specificità dell’etologia, ma mi sembra interessante la riflessione di Jean Baudrillard, in particolare sto pensando al suo scritto del 1978 “All’ombra delle maggioranze silenziose. Ovvero la fine del sociale” nel quale la questione dell’assistenza pubblica del sistema nei confronti dei più fragili è studiata sia in una prospettiva storica, da quando nel 1544 venne realizzato il primo istituto che si fece carico di malati, poveri, emarginati, fino ai giorni d’oggi nei quali, sostiene il sociologo, il sociale non è più “relazione” divenendo mera “assistenza”. In maniera più o meno esplicita il lavoro di Baudrillard porta a comprendere che, nell’attuale “sistema globale”, siamo tutti all’interno di un esperimento senza che lo scienziato di turno lo osservi per capirlo poiché è lui stesso parte dell’esperimento. Si vive, sto ancora parafrasando Baudrillard, in un contesto nel quale l’iper reale ha cancellato la realtà sostituendola con una simulazione. Dagli anni della dilagante diffusione dei media, radio, ma soprattutto televisione, che ha portato a compimento il passaggio dalla parola scritta, che richiedeva lettura, a quella pronunciata, per arrivare al prevaricare dell’immagine sul verbo, da quel periodo, dicevo, si è passati al vertiginoso piano inclinato dei social che sono divenuti “figure retoriche di connessione”, in effetti in essi tutto è iperbole e litote. Sto parlando degli algoritmi, i nuovi Elohim della “virtualità reale”, mi si conceda una anastrofe per rimanere nell’ambito delle figure retoriche che, se intesa cum grano salis, molto disvela dell’oggi. L’universo 25 della comunicazione può essere colto come il più grande esperimento sociale mai realizzato, con la particolarità che è assente la mente esterna allo stesso e che lo sta osservando, lo stesso Baudrillard, geniale nella sua prospettiva, non può che essere “osservatore interno”.
Gli “Elohim algoritmici” sono divinità depensate quanto efficaci, producono linee guida del mondo virtualizzato estremamente funzionali ma capaci solo di una sorta di perfetta autoconservazione che molto assomiglia a quella del “sistema natura”. Il tutto, per dirla con Dawkins, in base a un assoluto istinto egoistico, diviene tanto più efficace, al fine della propria sopravvivenza, quanto più non si interroga sul senso della stessa. La maggioranza anonima del sistema globalizzato non ha bisogno di interrogarsi, di una ricerca di senso; il presunto “messaggio”, che tale diviene solo nel momento in cui il soggetto emittente è progettuale ma il pubblico ricevente è ospitale, permane in una sorta di condizione intermedia, una specie di “sospensione del perché”, in quanto chi lo produce è agito da soggetti virtuali e sovraindividuali, gli algoritmi appunto, mentre la gran massa di chi dovrebbe essere soggetto ricettivo è divenuta impermeabile, una sorta di spettatore compiaciuto, facile alle effimere seduzioni ma per nulla disponibile a profonde metabolizzazioni di messaggi essi stessi eccessivamente volubili. Paradossalmente la facile manipolabilità della massa è un meccanismo di difesa dalla manipolazione stessa, ne sono prova i consensi sinusoidali ottenuti da politici che passano da maggioranze imponenti a consensi marginali e viceversa. La comunicazione che non informa ma vuole dirigere è fruita come una sorta di spettacolo che deve essere affascinante per sopravvivere grazie al consenso, ma non può esigere intima condivisione, piuttosto più facile e caduca esaltata adesione. La “realtà gassosa” del “villaggio virtuale” induce al consumo compulsivo, all’accumulo onnivoro per celebrarsi e sopravvivere senza comprendere l’evidente eterogenesi dei fini che va realizzando. Ogni individuo deve divenire pragmatico produttore di ricchezza senza più chiedersi cosa profondamente lo connetta con la stessa, ecco chiarita la riflessione dell’amico Gershom: siamo tutti molto più sperimentali dei ratti di Calhoun, anche chi si pensa vincitore è una vittima dell’esperimento probabilmente destinato all’implosione.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.