Ursula si butta a destra per restare in sella: Bruxelles congela le norme green

  • Postato il 11 luglio 2025
  • Di Panorama
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Appena arrivata a Bruxelles nel 2019, Ursula von der Leyen aveva fatto convertire un bagno adiacente al suo ufficio, al tredicesimo piano del palazzo Berlaymont dove ha sede la Commissione europea, in una camera da letto. Compressa nella prospettiva del bunker – era stata eletta per il rotto della cuffia, con soli 9 voti (quelli dei 5 stelle, ndr) in più di quelli necessari per l’investitura e un centinaio di franchi tiratori – il presidente aveva preferito alloggiare in una stanza di 25 metri quadri anziché in un residence, come aveva fatto il suo predecessore Jean-Claude Juncker, un po’ per la sua ossessione maniacale per il lavoro, un po’ per sottrarsi alle dinamiche della “bolla” bruxellese.

L’operazione, in realtà, non è andata come previsto: l’ex ministro tedesco è stata talmente fagocitata dalle logiche del Berlaymont da aver partorito, con la complicità del suo gruppo politico di riferimento, quello del Partito popolare europeo, la direttiva che ha messo in ginocchio la filiera della produzione automobilistica Ue, il famigerato Green deal. Certo, allora c’era il suo vice Frans Timmermans, commissario olandese responsabile per il clima, a dettar legge a Bruxelles insieme con socialisti, liberali e verdi, che governavano nei maggiori Paesi Ue (Italia, Germania, Francia), ma quella direttiva fu votata anche dai popolari, che al Parlamento europeo espressero parere favorevole in 170, su 181 eurodeputati.

Oggi, la musica al Berlaymont è cambiata: Von der Leyen abita sempre al tredicesimo piano, ma sembra essersi riconvertita ai valori del partito che l’ha catapultata sullo scranno più alto di Bruxelles per ben due volte. I rapporti con i gruppi a destra del Ppe (i conservatori e riformisti europei di Ecr dove siedono gli eurodeputati di Fratelli d’Italia e i patrioti di PfE, cui invece aderisce la Lega) sono più distesi, fatta eccezione per un’estemporanea mozione di sfiducia contro di lei sulla mancata trasparenza nella gestione degli appalti sui vaccini promossa dalla delegazione rumena del gruppo Ecr, ma l’iniziativa ha poche chances di riuscita perché richiederebbe una maggioranza che i socialisti (Pd), i liberali di Renew e i verdi non sono disposti a votare insieme con quella che definiscono “l’estrema destra”.

Le forze progressiste mostrano, nel contempo, un’insoddisfazione crescente. Hanno sostenuto la rielezione di Von der Leyen ma oggi criticano la sua leadership perché l’esecutivo Ue è tornato sui suoi passi proponendo una revisione di medio termine sul clima, che prevede nuovi obiettivi per la riduzione delle emissioni di CO2 nell’Ue da raggiungere entro il 2040 e tre nuove forme di “flessibilità” riguardo alle modalità di raggiungimento degli obiettivi a livello nazionale. Non solo: il presidente ha deciso di ritirare, senza consultare il Parlamento, il suo appoggio alla direttiva Green claims che voleva mettere ordine nel caos delle etichette verdi ingannevoli. L’esecutivo l’ha congelata, nel timore che introduca un carico burocratico eccessivo soprattutto per le piccole e medie imprese, ma la tempistica ha suscitato un’ondata di polemiche, perché l’annuncio è stato preceduto da una lettera in cui Ppe, Ecr e Patrioti chiedevano il ritiro del testo, cui ha fatto seguito il ritiro del sostegno dell’Italia di Giorgia Meloni alla legge.

«La Commissione sta prendendo istruzioni dai gruppi politici? Ciò è contrario all’articolo 17 del Trattato che la obbliga a un dovere di imparzialità e indipendenza», ha tuonato il relatore della direttiva, l’italiano Sandro Gozi, eurodeputato di Renew (il gruppo di Renzi) ed ex assistente politico di Romano Prodi a Bruxelles.

«La Commissione sta diventando sempre più il quartier generale del Ppe, è inaccettabile» ha soggiunto Tiemo Wölken, eurodeputato socialista e co-relatore del testo. Quando però nell’Ursula 1 la Commissione era diventata il quartier generale del partito socialista, nessuno aveva battuto ciglio. Oggi i socialisti, non più numericamente determinanti, promettono battaglia e hanno affidato a Teresa Ribera, socialista spagnola e vicepresidente della Commissione Ue, la guida del fronte dei ribelli, che ha come obiettivo non tanto il rilancio di direttive ormai annacquate ma, più prosaicamente, la conquista di maggiori spazi di potere per arginare la maggioranza silenziosa e inedita tra il Ppe e gli altri gruppi di destra.

In mezzo alle battaglie per l’egemonia, c’è sempre lei: Ursula cammina sulle uova, non soltanto per le accuse sui vaccini, che le sono valse una condanna della Corte di Giustizia europea, o per i conflitti d’interesse del marito Heiko (alto dirigente nel settore delle terapie geniche, beneficiario di fondi Ue), ma anche per la spregiudicatezza con cui Von der Leyen ha spinto, nel corso del primo mandato, dossier molto distanti dai principi conservatori. Per questo motivo, la sua parola d’ordine nei prossimi mesi è «compromesso», soprattutto sull’agenda verde.

«I numeri di quest’Europarlamento e di questa Commissione sono completamente diversi da quelli del primo mandato Von der Leyen», spiega Nicola Procaccini, eurodeputato di Fratelli d’Italia e co-presidente del gruppo Ecr. «Su 27 Stati membri, 24 sono ormai guidati da governi di centrodestra. L’“Ursula 1” era in mano ai governi di sinistra, questa dinamica si è completamente ribaltata. Se volete potete chiamarla “politica dei due forni”», chiosa, «ma è semplicemente un processo democratico. Le maggioranze al Parlamento europeo, però, non sono uguali a quelle degli ambiti nazionali, perché si formano e si disfano a ogni singolo voto».

C’è da fidarsi di qualcuno che nel secondo mandato fa esattamente l’opposto di quanto aveva fatto nel primo? Cercare un bilanciamento è l’essenza stessa della politica, ma Ursula von der Leyen paga lo scotto di essersi piegata troppo sulle questioni di principio.

«L’atmosfera è cambiata e Von der Leyen si è adeguata, non poteva fare diversamente», osserva Procaccini. «La politica ha le sue leggi, il presidente ha sofferto molto Timmermans perché l’ha costretta a votare dossier che, sono convinto, non condivideva neanche lei. La realtà è che in tutta Europa si è manifestata una critica al Green deal e una richiesta di maggiore severità nel contrasto all’immigrazione illegale: Von der Leyen non soltanto ne ha preso atto ma ritengo che in questo secondo mandato sia più nella sua comfort zone, perché è una donna di centrodestra».

Che sia “doveroso” imporre un cambio di passo rispetto alla scorsa legislatura e che gli obiettivi ambientali debbano procedere insieme con la tutela economica e sociale, lo pensa l’ex ministro Letizia Moratti, già sindaco di Milano e vicepresidente della Regione Lombardia, oggi eurodeputato di Forza Italia nel Ppe. «Oggettivamente la Commissione ha portato avanti il Green deal in maniera molto ideologica. Lo sforzo del Ppe è di riequilibrare questa comprensibile e anche apprezzabile tensione verso una transizione verde con un’attenzione altrettanto equa nei confronti degli aspetti economici e sociali». Pragmaticità contro ideologismo è la formula di Moratti: «L’attenzione alle esigenze delle imprese significa anche attenzione all’occupazione e alle famiglie».

Il Ppe sta lavorando anche sulla direttiva sulla deforestazione, sui motori termici e sulle multe per la decarbonizzazione: «Vanno riviste le norme della passata legislatura: il mondo sta cambiando, c’è la crisi energetica, ci sono le guerre con le crisi sociali che ne derivano e noi popolari ce ne stiamo facendo carico. Se l’Europa gode del miglior welfare al mondo, per essere mantenuto ha necessità di un’economia che cresca e lo sostenga. Il profilo da seguire», suggerisce Moratti, «è quello della ragionevolezza, senza scontri con nessuno e neanche con la Commissione: certamente si troverà un accordo, anche perché non viene messo in discussione l’obiettivo ma la tempistica e le modalità, che vorremmo più fattibili e attente alla dimensione sociale».

La prossima settimana ricorre il primo anniversario della rielezione di Von der Leyen. Chi la rappresenta come una stratega, però, è lontano dalla realtà. Sarà difficile, infatti, che passi alla storia: è un colosso dai piedi d’argilla che non ha saputo rafforzare gli strumenti di cui dispongono le istituzioni europee, né aumentare la coesione e la capacità d’azione dell’Unione.

La tedesca, alla fine, continua a fare nel secondo mandato ciò che ha fatto nel primo: assecondare il Consiglio dei capi di Stato e di governo europei, ieri di sinistra, oggi di destra, cercando al tempo stesso di salvare se stessa e la sua reputazione.

Autore
Panorama

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